Oggi barba incolta, e bevo le mie lacrime. Da quanto tempo. Neanche troppo. Sconvolto. Scopro oggi tutta la mia malattia. Quella che nessuno vuole. Quella che nessuno ha il coraggio di curare. Ecco il peso. Ecco perché sono ancora una volta solo a berci su un fiume salato. Ricordo quando i letti bruciavano. Quando la vita era fatta di speranze, ruote in continuo andare avanti. Ricordo quando c’era il senso di costruire per qualcosa che non fosse calpestato poi. Poi penso che io sono diverso. E nessuno vuole più costruire con me. Qualcuno perfino dice che la mania di costruzione sia una panacea per guarire dalla mia malattia. Non mi conosce bene. Io ho bisogno di dare, in relazione a quello che posso. Strafare e sbagliare. Arrivare al limite della gioia per raccontarmela. Con le persone giuste. Questo sono io.
Difficile non lasciarsi andare. Difficile non fregarsene della vita. Adesso che sento tutto il peso di questa malattia di cui non ho colpa. Non voglio che nessuno si prenda cura di me, perché nessuno è capace, nessuno vuole davvero sfidare la vita con me. Tutti fanno solo peso qui dentro. E il peso risucchia verso il centro il centro della terra dove la vita finisce. Fotografie non hanno più tanto senso, se le mangiano gli spazi vuoti che son stati lasciati e trovano posto in una cartella del pc…i posti visti restano solo maledetti posti fermi che non dicono più niente senza noi…le braccia prese e il petto stretto restano sensazioni su cui puoi adagiarti quando fa sera nel tuo cantuccio.
Mi sono illuso, ovvero ho sperato troppo forte. E ora sono qui dove sono stato trovato, nello stesso angolo a contare il tempo che si mangia la vita. Qui dove sento la vita meno forte. Dove la rinnego, insieme alla mia diversità, allo stadio finale.
Se il buio si prendesse tutto non perderei nulla.