In un luogo sperduto, circondato da inaccessibili montagne, viveva in un tempo lontano, un giovane pastore di nome Orion. D’inverno se ne stava rintanato con la sua famiglia, in un piccolo rifugio di legno, giù a valle, ma all’arrivo della bella stagione, ritornava tra i dirupi scoscesi delle montagne, per portare al pascolo le sue capre. L’erba scarsa e rada lo costringeva a spostarsi di continuo, ora arrampicando ora scivolando tra rocce e sassi, sempre seguito dagli zoccoli delle sue bestiole e dai loro belati, uguali al pianto dei bambini. Conveniva viaggiare leggeri tra quelle montagne impervie e Orion portava con sé solo il necessario per la giornata: un fazzoletto con pane e formaggio, un po’ d’acqua e un bastone, utile a recuperare le capre troppo smaniose delle altezze. In testa aveva sempre un cappello a larga tesa con cui proteggersi dal sole senza distogliere lo sguardo dalle pendici della montagna e dalle zampe delle bestie al pascolo. “Dal cielo bisogna guardarsi.”, gli diceva suo padre, “Perchè porta solo guai: grandine, vento, calura…, meglio stare accorti e guardare sempre in basso, per non inciampare e non perdersi tra i sentieri di montagna.”
Orion, che non aveva nessuna ragione per non credergli, non scordava mai di uscir di casa con bastone e cappello, l’uno per avanzare tra i dirupi e l’altro per cancellare il cielo e le sue insidie dal suo orizzonte quotidiano. Un giorno d’agosto, mentre era al pascolo come sempre, sentì delle voci allegre uscir dal bosco sottostante e poco dopo vide sbucar fuori un piccolo corteo di gente che trascinava un carretto carico di fascine di legna.“E’ la festa di San Lorenzo” gli gridò di lontano una ridente ragazza in abito fiorito, quasi a rispondere alla sua domanda muta, aggiungendo “Stasera, al paese, bruceremo i falò e conteremo le stelle cadenti dei desideri…vieni anche tu!”
Il ragazzo trasalì, non era abituato a parlare con la gente, men che meno con una ragazza vestita di rosso, né mai aveva sentito dire, a casa sua, di una festa di fuochi e stelle. Così se ne restò a bocca aperta, senza avere il coraggio di rispondere, fermo impalato coi piedi piantati a terra come un mulo, seguendo solo con lo sguardo, quell’allegra compagnia scomparire, inghiottita di nuovo dal bosco. Quella sera, a cena, Orion non toccò cibo, tra la sorpresa dei suoi che lo sapevano sempre affamato e più tardi, nel suo letto di paglia, si rigirò insonne pensando alla festa e alla ragazza dall’abito a fiori. Verso la mezzanotte strisciò silenziosamente fuori di casa e raggiunse un poggio da cui poteva vedere le luci festose del paese e i falò per la festa del santo d’agosto.
Quando anche l’ultimo fuoco fu spento, mandando tutti a dormire, il ragazzo, preso già da nostalgia, si lasciò andare sull’erba, lungo disteso, cercando con gli occhi la stella cadente che avrebbe esaudito il suo segreto desiderio.
Improvvisamente, da quel cielo immobile del colore dell’inchiostro, si staccò una stellina dorata, prima lentamente, poi accelerando il suo percorso più forte, sempre più forte, come attratta dalla gravità terrestre, proprio verso la direzione stessa in cui si trovava Orion, fino a precipitare dritta dentro…il suo cappello che gli era rotolato accanto poco prima, quando si era disteso a terra.
Il ragazzo guardò la stellina e lei sembrò rispondere al suo sguardo, palpitando, dopo quella gran corsa dall’universo fin dentro il suo cappello. “Forse mi sbaglio, magari è una lucciola…” Ma al solo guardarla, non ci si poteva confondere: era proprio la stellina che pochi attimi prima punteggiava il cielo notturno. Per non farla volar via di nuovo, Orion non trovò niente di meglio che rimettersi in testa il cappello, pensando, col cuore in tumulto, al desiderio da esprimere, un desiderio che aveva un abito a fiori.
Con la sua stellina dentro il cappello, il ragazzo tornò a casa e nei giorni successivi fu ben attento a non abbandonarlo, portandolo ben calcato in testa di giorno e di notte.
“Chissà come brilla…”, pensava immaginando la sua stellina che però, nascosta com’era, poteva solo essere pensata, desiderata. “Se me la tolgo dalla testa, volerà via di certo e se ne tornerà in cielo, da dove è venuta, perché quello è il posto delle stelle e anche dei desideri. Ma se la lascio prigioniera nel mio cappello, non la vedrò mai brillare, né lei potrà correre dalla ragazza con l’abito fiorito per sussurrarle all’orecchio il mio nome…” Così una notte di fine estate, Orion tornò segretamente sul poggio da cui si vedeva il paese giù nella valle e sù, in alto, tutto il firmamento. Si distese nuovamente sull’erba, cercando con lo sguardo il punto esatto da dove si era staccata la sua stella. Lo vide, buio e cieco, ai margini della volta celeste.
Lentamente, dolorosamente, ma con lo sguardo ben fermo davanti a sé, Orion si sfilò il cappello e lo appoggiò di fianco, senza più guardarlo.
Col pensiero, formulò il suo desiderio, chinò il capo sulle sue braccia conserte e s’addormentò, consegnando il suo messaggio segreto al segreto mondo dei sogni.
Gianna Braghin