Secondo Stella, la radio Cosebelle Chicago catturava le voci dei fantasmi. L’ha acquistata quattro o cinque giorni prima del mio compleanno, in un mercatino vintage a Pavia. Ci do- veva essere una fiera, Stella ci è andata con Patti. Il giorno del mio compleanno, me l’ha fatta trovare in casa, sulla mensola del caminetto in sala, già in funzione: trasmetteva un jazz piuttosto funebre di Dizzy Gillespie, che secondo quanto raccontava la voce della radio era un inedito. Eravamo ap- pena tornati da una cena, in un ristorante, durante la quale le avevo regalato un braccialetto. Stella aveva trovato la cosa assai originale, e divertente. «Sei l’unico uomo che conosco che mi abbia mai fatto un regalo nel giorno del suo compleanno», mi aveva detto. Ricordo di aver risposto che farle regali mi procurava felicità, ecco tutto, e a fine cena ho anche pagato il conto. A casa ho trovato la sorpresa. Stella mi ha spiegato di avermi regalato la Cosebelle Chi- cago dopo che qualche giorno prima le avevo parlato a lungo di una storia di John Cheever dal titolo The enormous radio. A volte commetto la leggerezza di intrattenere le donne con cui mi vedo attraverso le storie lette sui romanzi. L’ho fatto con Caterina. L’ho fatto con Angela. L’ho sempre fatto. Mi ero ripromesso di stare più attento con Stella (specialmente dopo quello che è successo con Angela), ma a volte ci ricasco.
Dovrei smetterla di fare acquisti su internet, leggere Cheever, Barth, Anderson, la Whelty. Dovrei invece piazzare un novantanove pollici davanti al matrimoniale king size e guar- dare con Stella un Herzog, un Kurosawa, un Fellini, se pro- prio voglio darmi questo flavour da intellettuale. Visto che ho usato tutte queste parole inglesi, dovrò subito spiegarmi dicendo che questi libri, comprati in internet e con la carta di credito, io li leggo in inglese. Per questo, a volte mi succede di mescolare parole italiane e inglesi, quando racconto delle faccende lette nei libri di Marge Piercy o William Makepeace Thackeray, e ricordo che a Caterina, ma specialmente ad Angela, il mio modo di raccontare non piaceva, anche perché Angela aveva una questione irrisolta con l’inglese: non le si sarebbe appiccicato al cervello nemmeno col Bostick, come spesso mi ripeteva. Io nella vita faccio tutt’altro dalla letteratura. Lavoro nello studio legale di un’azienda che produce cartone ondulato. Passo il tempo a fare contratti e a studiare pratiche relative a liti giudiziarie (ci vado piano col gergo d’avvocato più o meno per le stesse ragioni per cui ho imparato a usare con cautela le lingue straniere). Ancora oggi, dopo dieci anni di studio tra università, esame d’avvocato e altri sette anni di apprendistato e lavoro d’ufficio (mi sono laureato a ventisei anni, a ventinove sono diventato avvocato e a trentuno ho trovato il posto nell’azienda che produce cartone ondula- to: oggi ho trentasette anni e non mi sono più schiodato da quella seggiola in ufficio, anche se non mi dispiacerebbe apri- re uno studio tutto mio), ebbene forse non mi fa onore dirlo ma trovo il diritto una materia aridissima.
Avverto sempre più il bisogno di vedere, davanti ai miei occhi, lettere dell’al- fabeto combinarsi tra loro, così da farmi pensare a colori, immagini, dialoghi, azioni, e non soltanto stanze d’ufficio, con neon e mura grigie, piene di carte e scartoffie, che rinviano ad altri uffici, con neon e mura grigie, pieni di carte e scartoffie, che fanno pensare a loro volta a luoghi e oggetti non molto diversi da uffici, neon, mura grigie, carte e scartoffie. Allo stesso modo i romanzi. Allo stesso modo quei romanzi che mi spingono oltreoceano, lontano dalla quotidianità soffocante che respiro a Tortona, Voghera, Alessandria, al massimo Torino, che certo non sono Las Vegas, Los Angeles, San Francisco o Seattle. Altri miei colleghi si improvvisano curatori di mostre, si buttano nel campo della fotografia, sanno tutto dei giocattoli che comprano ai figli. Io invece per adesso mi limito a leggere libri di finzione in una lingua diversa – non sia mai che mentre leggo un qualche autore italiano ritrovi nelle sue parole espressioni che mi ricordano qualcuno degli italiani che sono costretto, gioco forza, a frequentare ogni giorno in ufficio. Insomma, per farla breve, leggo, racconto le storie che leggo, mescolo le parole che leggo alle parole che ho abitual- mente nella testa, e a quanto pare c’è proprio chi prende appunti mentre chiacchiero di queste faccende inventate, come dimostra il caso di Stella e della radio Cosebelle Chicago – la chiamiamo così perché è un nome che ci è entrato subito nel cuore – acquistata da lei dopo avermi sentito chiacchierare attorno al racconto The enormous radio di John Cheever. Quando mi ha dato il regalo, Stella mi ha anche mostrato come fare per catturare la voce dei fantasmi. È stato esilarante.
Mi ha spiegato che bisogna puntare la radio nella zona della casa in cui si pensa possa essere più forte la presenza degli spiriti; poi bisogna girare la manopola finché l’antenna cattura le microparticelle invisibili, di cui i fantasmi sono fat- ti, e le risucchia nel ventre di cavi e transistor della radio, che permette così ai fantasmi di comunicare attraverso i micro- foni. Io me la ridevo, mentre Stella nella sua pantomima mi sgambettava per casa con la radio in mano. «Chissà se con i fantasmi le am funzionano meglio delle fm», ironizzavo. Dopo che Stella ha riposto la Cosebelle Chicago sulla mensola del camino e l’ha spenta, ci siamo sistemati sul divano in sala per vedere quanto avremmo resistito con i vestiti addosso, ma a me è preso di dirle che in realtà, nella storia di John Cheever, la radio non cattura proprio la voce dei fantasmi. Appena un secondo dopo averle detto questo, sapevo che, non soltanto mi sarei dovuto tenere i vestiti addosso per il resto della serata, ma che avrei anche fatto bene, per quel che sarebbe importato ora a Stella, a infilarmi guanti e cappotto, senza dimenticare sciarpa e cappello, prima di coricarmi a letto accanto a lei. Comunque, Stella mi ha esortato a spiegarmi meglio. Io allora ho cominciato a raccontarle daccapo la storia di The enormous radio. I protagonisti del racconto di John Cheever, Jim e Irene Westcott, abitano al dodicesimo piano di un condominio in Sutton Place. Sono genitori di due bambini, vanno a te- atro una media di dieci virgola tre volte l’anno e sperano un giorno di trasferirsi a Westchester dove evidentemente si vive meglio. Jim e Irene hanno vite ordinarie e in fondo da John Cheever non ci si può aspettare niente di diverso dato che ha 10 passato un bel po’ di tempo della sua vita ad alzare il gomi- to con il collega e amico Raymond Carver, all’University of Iowa City a Iowa City, Iowa. Comunque nelle vite ordinarie di Jim e Irene un giorno arriva in casa la “enormous radio”.
La radio agli occhi di Irene è come una ugly gunwood cabinet, uneasy e aggressive, di un malevolent light green (l’ho detto che avrei usato parole inglesi). Una mattina, durante un pezzo di Mozart si inserisce un’interferenza, in sottofondo si sentono campanelli di porte d’appartamento, trilli di campane d’ascensore, il rumore di un aspirapolvere, lo squillo dei telefoni. Sicché Jim e Irene decidono di prendere la radio e portarla da qualcuno per farla aggiustare, ma una volta a casa ricominciano di nuovo le interferenze. Poco dopo (il racconto non è lungo) la coppia di coniugi si rende conto che le voci che escono dall’apparecchio sono quelle dei loro vicini. La radio cattura la voce della governante degli Sweeney’s, mentre recita una filastrocca ai bambini; si sintonizza all’undicesimo piano, interno e, dove la famiglia Fullers sta dando un cocktail party, e infine Jim e Irene trovano il modo di sintonizzarsi al 18-c. Insomma per farla breve e arrivare presto al punto, ho spiegato a Stella, la radio di Jim e Irene Westcott non cattura la voce dei fantasmi ma dei loro vicini di casa. Ho aggiunto, con un po’ di saccenteria, che il racconto si risolve in una sorta di critica a un modello di società da Big Brother e che questa è una conclusione un po’ banalotta ormai, per i miei gusti. Se infatti all’inizio Jim e Irene sono eccitati all’idea di conoscere i segreti dei loro vicini di casa (Stella mi ha ricordato che questa idea è simile a quel best seller di Ira Levin 11 da cui è stato tratto un film con Sharone Stone, solo che lì al posto della radio magica ci sono telecamere nascoste nelle stanze di ogni appartamento di un megacondominio), poco dopo questa possibilità sconvolge Irene. Non sopporta di sa- pere, ad esempio, che al 16-c Mr Obsorn sta per picchiare sua moglie e spinge Jim a chiamare gli sbirri, intervenire, far qualcosa, accidenti.
Non sopporta di sapere che la madre degli Hutchinson sta morendo di cancro in Florida, che Mrs Hendricks ha problemi cardiaci e ad aprile perderà il posto di lavoro e che l’uomo che ripara gli ascensori ha la tubercolosi. Irene sta male per le disgrazie dei suoi vicini, e non vorrebbe sapere niente, e Jim la rimprovera, e alla fine tra loro scoppia persino una lite sul fatto che lui le aveva regalato la radio perché le procurasse svago e non disagio, e che se era così allora non avrebbe più dovuto ascoltarla quella dannata radio. La storia si conclude con Irene che si avvicina alla radio, allunga la mano verso la manopola, cerca di sintonizzarsi su stazioni diverse, migliori. Invece capita sull’ennesimo notiziario che annuncia un disastro ferroviario a Tokio, vittime ventinove persone, e un incendio in un ospedale cattolico per bambini non vedenti vicino a Buffalo, miracolosamente spento dalle suore che ci lavorano. Insomma si suggerisce, forse, che è dopotutto quello strumento in se stesso, la radio, che non passa altro che cattive notizie, siano esse sottocasa o a migliaia di chilometri di distanza, e questo, ho concluso cercando di stemperare la saccenteria dimostrata poco prima, è un finale che tutto sommato serve ancora a farci riflettere. Ho aggiunto che le interpretazioni possibili delle poche pagine del racconto di Cheever sono numerose: come il pomo 12 nel giardino dell’Eden rappresenta la perdita dell’innocenza da parte di Adamo ed Eva, così la radio in casa Westcott rappresenta la perdita dell’innocenza di Jim e Irene riguardo la loro condizione di esponenti della dorata classe media americana.
Lo stile di vita borghese americano non riesce a escludere il male fuori dalla porta di casa e dal proprio privato. Tuttavia, ho spiegato a Stella che il racconto datato 1953 potrebbe forse in qualche modo alludere proprio allo stereo- tipo (che giusto in quegli anni circolava) sulle radio in grado di catturare le voci degli spiriti dell’al di là, se non addirittura quelle degli alieni. Stando così le cose questa lettura potrebbe dopotutto autorizzare a pensare che siano i vicini di casa dei Westcott a essere i fantasmi e gli alieni. In altre parole gli esponenti della classe media americana che abitano il condominio con le loro vite così regolari e la sola preoccupazione delle loro esistenze in relazione al denaro, a problemi prosaici piuttosto che velleitari, ebbene ciò li rende già fantasmi e alieni, ed è per questa ragione che la misteriosa radio entrata in casa Westcott rileva le loro voci.
Dopo la mia spiegazione Stella è scoppiata a ridere e mi ha chiesto se non pensavo che la Cosebelle Chicago, che adesso pareva osservarci silenziosamente dalla mensola, avrebbe potuto captare le voci dei Morini del terzo piano o dei Tarchetti al sesto o dei Gassoni al quarto. In fondo, ha chiosato Stella, i Morini, i Tarchetti, i Gassoni le sembravano per davvero un po’ fantasmi. «Come fai a dire questo?» «Da quando ti frequento li ho osservati bene.» «Davvero? Non l’avevo notato…», le ho detto io e ricordo d’aver allungato una mano verso i suoi vestiti, ma lei con un gesto l’ha subito ricacciata al suo posto. «Li ho osservati, sì…» «Sì, ma io non abito certo in un condominio della middle class americana, e nemmeno italiana – faccio io – Questo po- sto è una baracca. E poi come si fa a paragonare gli americani di quel racconto agli italiani di oggi? Quello era un racconto del ‘53, e ambientato negli Stati Uniti. Oggi in Italia non c’è un lavoro sicuro, non ci sono soldi, non c’è futuro, per me anche le classi sociali ormai sono saltate…» «Appunto, e i Morini, i Tarchetti, i Gassoni ne sono esattamente l’esempio.»
Mentre Stella parlava, io pensavo al mio senso di colpa per lo stipendio di mille e trecento euro al mese che riuscivo a portare a casa dopo anni di ufficio e nonostante i miei titoli di studio. Pensavo che, se in passato fossi stato un impiegato migliore in ufficio, guadagnerei più soldi adesso e non vivrei in un condominio d’anziani che hanno a carico figli fannulloni o sfortunati che non arrivano a trovare nemmeno di che campare. Come ad esempio Arturo Morini, che a trentadue anni lavora ancora con contratti a tempo determinato presso ditte di Avolasca, Voghera, Stradella: una volta ceramiche, una volta conglomerato bitumi- noso, una volta amidi modificati… Per tre, sei, dodici mesi s’improvvisa qualsiasi cosa con la sua laurea specialistica in Scienze politiche. Quando lavora va all’estero, tipo Toronto, New York. I genitori di Arturo spesso in ascensore alludono a certi amici che lui avrebbe all’estero e che a volte l’ospitano anche per due o tre mesi. Anche Giovanni Tarchetti, pensavo mentre Stella in pratica esprimeva a voce quello che io andavo pensando, con la sua laurea in Chimica farmaceutica a trentasei anni non riusciva a quanto pareva a trovare un posto fisso, e portava avanti un dottorato da diversi anni ormai, faceva consulenze presso aziende come collaboratore esterno e i suoi genitori mi impressionavano in ascensore raccontandomi di conferenze che teneva all’estero (specialmente Germania) e di articoli apparsi su riviste specialistiche a detta loro molto prestigiose.
Zeno Gassoni, invece, seguitavo a pensare quella sera, aveva una laurea specialistica in Lettere e anche lui non riusciva a trovare un lavoro pagato, solo un mucchio di lavoretti, una volta ad Ascoli, un’altra a Catanzaro, un’altra ad Avellino, un’altra a Canicattì (be’, adesso sto inventando, ma su Ascoli e Catanzaro sono sicuro) e poi anche lui viaggi all’estero, specialmente in Francia e in Spagna. «Capisci che Morini, Gassoni, Tarchetti futuro non ne hanno? Per quanto potranno andare avanti così? Cosa succede se si ammalano? Come si curano? Hai visto che neo ha sulla faccia Tarchetti? E Gassoni, hai visto che alopecia che gli ha preso? E quell’altro… Lambertini… Perché c’è anche Lambertini, e Peridretti, e Filippini, e Rombinetti…» E in- tanto io pensavo a me, che mi sono laureato a ventisei anni, a ventinove sono diventato avvocato e a trentuno ho trovato il posto nell’azienda che produce cartone ondulato. Oggi ho trentasette anni e non mi sono più schiodato da quella seggiola in ufficio, anche se non mi dispiacerebbe aprire uno studio tutto mio, e mi occupo soprattutto di recupero crediti chiuso in uno studio legale, e pensavo a Morini a Toronto o a New York, e a Tarchetti a Berlino o Monaco di Baviera, 15 e a Gassoni che volava a Parigi, Marsiglia, Barcellona, Madrid, e d’improvviso c’è stata un’esplosione proveniente dalla mensola sul camino e Stella ha smesso di sparare parole a raffica su Gassoni, Morini, Tarchetti, Lambertini, Filippini, Peridretti, Rombinetti.
Abbiamo voltato entrambi la testa verso la mensola: la Cosebelle Chicago era accesa e cominciava a trasmettere. Io ho detto: «Che succede?», e ho subito sentito una sorta di eco provenire dalla radio. «La radio si è accesa da sola…», ha detto Stella e anche questa volta si è prodotta una sorta di eco. «Hai visto come è esplosa quasi?», e di nuovo si è formata quella eco. «Ma questa eco non la senti anche tu?», ho detto io allora mentre ancora un’altra eco si produceva. Abbiamo fatto silenzio. Anche la radio ha fatto silenzio. Mi sono avvicinato alla radio. Anche Stella s’è alzata. S’è avvicinata. La radio era in silenzio. Si sentivano solo leggeri fruscii in sottofondo. Ho detto qualche parola. La radio le ha ritrasmesse fuori simul- taneamente. Ho allungato la mano verso la manopola, ho cambiato stazione. Non è servito. La radio trasmetteva ancora le nostre voci su qualsiasi frequenza. Mi sono voltato verso Stella e ripensando in un lampo al racconto di John Cheever e a tutto quello che avevamo appena detto a riguardo le ho chiesto: «E questo che cosa accidenti significa?»
Marco Candida
Info
Cheever’s” è apparso per la prima volta sul sito di Atti Impuri – ed è contenuto nella raccolta Bamboccioni voodoo edita da Historica.