Facile amare quando si é belli. Facile lasciarsi andare quando si ha un salvagente, una casa, un lavoro, i mezzi. Facile quando hai tutto, la forza nei progetti, la forza che scorre nelle vene, quando non hai paura della grandezza, della faccia oscura del sentimento. Quando ogni gesto normale diventa pazzia. Quando ti tremano le mani ma non il cuore. O forse no.
Olga é una ragazza danese, abita e lavora a Roskilde una piccola cittadina sul Mar del Nord. Un posto freddo e spesso bianco, bianco come il suo futuro. Olga é taciturna, quasi sempre, ha 27 anni e ha imparato dalla madre il mestiere di sarta. Cuce abiti su misura in un negozio del centro, uno dei negozi piú rinomati della provincia. Con le mani ci sa fare, sa capire la taglia di ogni persona che varca la soglia in un paio di secondi, sa quale colore gli starebbe bene dopo pochi altri. Entro il primo minuto, quando ancora il futuro cliente si muove tra i capi in esposizione, lei ha giá cucito l´abito perfetto nella mente partendo da un´ispirazione. Indovina anche l´occasione in cui sará sfoggiato o la professione di chi lo indosserá con uno scarto minimo di errore. Accavalla le gambe, accende la macchinetta elettrica del caffé e aspetta che i gesti e gambe che arrivano da lontano gli dicano le cose che giá sa. Il vero lavoro sará farli arrivare da soli all´abito che lei gli ha giá cucito in testa. Tutto qui. Poi le mani andranno da sole, é solo questione di pratica.
Olga dentro quel negozio é straordinariamente sicura di sé. Nessuna convinzione puó vacillare, nessuno puó sapere meglio di lei, che ha confezionato centinaia e centinaia di abiti, cosa sia meglio. Cosa sia elegante, cosa trendy, cosa sia adeguato, provocante, sexy, equilibrato, solenne, cerimoniale, spregiudicato. Tutte parole che i clienti amano sottolineare. Lei é la regina, il principale le dá carta bianca, e lei ci scrive sopra gli zeri dei guadagni. Ma non é sempre cosí tutto esaltante. Fuori da quelle vetrine Olga tornava a un dimensione in scala 1:1000. Le succedeva di non saper rispondere, di vacillare, di perdere il controllo della situazione, di arrossire, di non afferrare completamente il senso, perdeva la facoltá di replica. Semplicemente tornava ad essere la Olga insicura che ha paura anche dei propri sogni.
Una sera di Dicembre nel negozio entró un tale con la pioggia sui capelli lunghi e le scarpe col fango sul tacco. Era una 50, veniva per un matrimonio ma non poteva essere lo sposo, aveva uno sguardo troppo ingenuo. Tipico da testimone di nozze. Avrebbe richiesto un blu Piper a due bottoni con lo spacco completo di Gilet e Plastron in cui sarebbe stato evidentemente troppo vistoso e un po´stretto. Olga fece queste considerazioni accendendo la macchina del caffé. Sorrise. Avrebbe fatto un altro capolavoro. Fece un giro completo attorno all´uomo. Vedendolo da vicino si rese conto che era ancora un ragazzo, non era trascurato come sembrava a prima vista. Barba curata, profumo, e sopratutto era vestito bene. Abiti di qualitá. Doveva essere un impiegato che preferiva comprarsi gli abiti anziché usare la divisa ufficiale. Sí, doveva essere cosí.
Passó subito alla cravatta. Il che sembró senza senso a Jens. Non si comincia dalla fine. Ma lui non sapeva che lei l´aveva giá vestito, nella testa. Mancava solo l´ultimo dettaglio. Quella sera Jens le commissionó l´abito che aveva scelto per lui: un abito grigio antracite, linee decise e moderne, bottoni in corno, due spacchi dietro, inserti luminosi a equilibrare il colore scuro. Avrebbe inciso il suo nome nelle tasche interne, e gli avrebbe regalato la cravatta carta da zucchero da portare sotto il gilet aderente. Scarpe nere ovviamente, un po´a punta ma non troppo, morbide ma non troppo, lucide ma non troppo. Tutto l´abito e tutto Jens avrebbe dovuto essere bello ma non troppo, il matrimonio é il giorno degli sposi non dei testimoni. Era andato tutto bene, come sempre, fino a che lui le disse:
– Come ti chiami? O forse dovrei dire piuttosto chi sei?
Dopo un attimo di sorpresa, un´esitazione quasi scenica ma dovuta rispose
– Per risponderle ci vorrebbe una vita, ammesso che io sappia farlo.
– Ma si puó iniziare. Spiegamelo per tutto il tempo che ti servirá. Se sará una vita intera continueremo a scoprirlo, io e te.
Sembrava la battuta rubata a un film. Poteva essere. Il problema era che Olga aveva perso il filo del discorso, seppure non fosse lungo. Era diventata rossa. Nel suo negozio. Si muoveva nervosamente e guardava altrove, sempre altrove. Aveva dimenticato il modello delle scarpe. Semplicemente tornava ad essere la Olga insicura che ha paura anche dei propri sogni. Per la prima volta nella vita lí nel suo impero di spalline e bottoni e pizzo e ricami e orli non si sentiva sicura, sicura di niente. Cosí disse lentamente e senza emozione:
– Signor Lassert, temo abbia frainteso la mia risposta. Io penseró al suo abito e lei non ripenserá all´accaduto. Siamo intesi?
Jens sfiorí di colpo, si rimise il cappotto, ringrazió sommessamente e uscí come esce di scena un attore mediocre che si sente colpevole di una recita non gradita. Come aveva potuto essere cosí ardito? Proprio lui, che si era ripromesso di evitare le donne, i sentimenti, le sconosciute a maggior ragione. Dove aveva trovato il coraggio? Dovete sapere che il nostro Jens era un gran bravo ragazzo, dico sul serio. Se qualcosa lo separava dai sogni beh ecco quella era l´insicurezza. Era sempre stato il migliore a scuola e anche nella scuola di calcio. Questo avrebbe dovuto solleticargli l´ego. I complimenti dei professori, la borse di studio a Londra, i tre campionati studenteschi vinti di fila, le ragazze che nei dormitori lo guardavano con desiderio, il sostegno e l´affetto della famiglia, le frequentazioni al circolo letterario studentesco, tutto questo riempiva Jens, senza peró farlo riempire mai. Aveva tutto e aveva niente. Perché non si vedeva come era, non notava i progressi, le conquiste, non si bastava. Prima degli esami, e davanti a qualsiasi scelta si sentiva inadeguato, provava paura a prescindere. Con le ragazze poi era timido, non proferiva verbo e per quelle che volevano solo il sesso era sufficiente. E funzionava cosí, lui soffriva di mal d´amore dentro ad un ospedale pieno di infermiere che lo accudivano ma non lo curavano.
Trascorsero 15 giorni e Jens tornó al negozio. Prima di entrare stavolta si fermó davanti alle vetrine nella speranza di guardare Olga senza che sapesse di essere osservata. Pazientó dieci minuti e lei comparve. Vestiva un vestito color pesca coi volant che sicuramente si era fatto da sola. Incantevole. Lui non era di nessuna. Lei chissá. Cercó di mettere in croce un paio di frasi, delle risposte eventuali, calcolava e misurava il loro futuro discorso. O meglio, tentava. Perché alla testa non gli andava di funzionare. A metá frase cominciava a perdere il filo. Andava su e giú senza capacitarsi, tanto che Olga stufa di quel teatrino abbandonó la macchinetta del caffé, uscí fuori e lo tolse dall´ennesima pioggia.
Dentro quel negozio peró le sorti si scambiavano. Jens tornava di colpo sicuro di sé, sapeva cosa dire, come dirlo, scorgeva ogni piccolo gesto, ogni particolare del suo sguardo. Si sentiva protetto, sentiva che i sogni erano forti e sapeva che era lei, solo lei a dargli quella forza. Olga gli consegnó l´abito terminato. Lo indossó. Era stato fatto con amore, lui non lo sapeva, queste cose gli uomini non le capiscono. Solo certe donne dall´occhio attento forse.
– Tu non mi hai vestito davvero.
– Come sarebbe? Non ti piace l´abito? ribatté lei.
– É bellissimo.
– Allora?
– Tu non mi hai vestito il cuore. Solo perché é complicato. Lo so, per chi ha paura le cose son sempre complicate, irraggiungibili, insperate. Non aver paura, ti prego.
Lui le aveva spogliato il cuore. Quel ragazzo parlava come da dentro un film. Era in confusione. Aveva di nuovo dimenticato quel maledetto modello di scarpe. E non sapeva cosa dire. Ma era quasi ora di chiusura e si sarebbe ripresa. Un thé, un film e un pediluvio e avrebbe dimenticato tutto. Peró le uscí la veritá, in tutta fretta, senza che potesse fermarsi e calcolare le conseguenze, senza un vero perché, un piano di sicurezza o qualcosa di simile.
Tu bevi per avere il coraggio di ricordare. Ricordare chi sei. Quelle poche volte che non provi paura e senti di poter sfidare il destino. L´ho capito. Non ti giudico. Io sono esattamente come te. Le mie certezze spariscono quando esco da questo negozio, perché l´unica cosa che so fare bene é cucire, se provo ad ascoltarmi, se provo a decidere, se provo a cambiare sento che non é il mio destino. E allora piango, dove tu bevi, e ingabbio il futuro pensando al vuoto passato.
– Forse sai anche amare. Ci hai mai pensato?
Fú cosí, lui le aveva messo il dubbio. Lui aveva bisogno di lei e lei aveva bisogno del dubbio. Tornó a sentirsi forte. Doveva scoprire la veritá. Lei le sfioró la mano. Lui era bello, lui aspettava di sapere chi fosse, lui sarebbe stato cosí fragile fuori da quel negozio. Avrebbero smesso la paura a quei sogni, sarebbero mai diventati coraggiosi insieme? Olga lo guardó appena e sorrise a un manichino per l´imbarazzo.
– Torna domani, gli disse.