La magia dei passi. Era quella che sentiva snodarsi lievemente in perfetta armonia acrobatica sincronizzata alle emozioni. Il respiro trattenuto, un fiume in piena rilasciato al contatto con il suolo. Per gli applausi, o forse per il silenzio imperioso.Un, due, tre tutti sussurrati a mente dicevano al corpo dove e come fluttuare, la prossima mossa, l’intermezzo, il centro del palco e il resto. Quel resto che si muove con te, è diverso da te, ma riesce a far parte di te. La danza è un’ arte e come tutte le arti nasce dal cuore, non si può misurare nè condividere davvero. Ognuno la vive in modo diverso, richiede passione, richiede sentimenti e motivi abbastanza forti, e se la tradisci ti farà sentire incompiuto, come pegno,per sempre.
Mani date,mani prese, attente, forti, sospiri, si ricomincia, mani prese, mani date,bacino e spalle a curvarsi, un sfida all’aria, gioia e dolore coraggio e attenzione per il passo in più. Marina non era mai stata una ballerina dalle prospettive importanti. Leggermente sovrappeso, in continua lotta con lo specchio, frequentava un corso di danza e una relativa compagnia, uno dei tanti di Milano che di tanto in tanto organizzavano spettacoli nella provincia. Si era iscritta per avere una scusa per uscire di casa, per sentirsi più tonica. Poi se ne era innamorata, così, come una di quelle rivelazioni che ti arrivano a trent’anni e ti chiedi «ma come ho fatto fino ad ora senza?». No, Marina non si era innamorata del giovane e prestante istruttore e socio come si potrebbe facilmente pensare.Lei, lei era di quelle che i belli li considerano sempre dannati come preconcetto e li scartano. Ma c’era anche un altro motivo. Seppure si mantenesse presentabile e fosse una ragazza accettabilmente carina lei non era di questa opinione.E questo le faceva molto male, mutando i rapporti con gli uomini in generale. Anche quelli che provavano ad avvicinarsi venivano rifiutati per una sorta di preconcetto per cui quegli uomini fossero in realtá non convinti della sua attrattivitá ma in cerca di un’avventura di una notte. Disperati, li chiamava.
Lei lavorava in uno di quei tanti squallidi call center con contratto a progetto d’ Italia. E poi tormentava le amiche facendo shopping perchè troppo esigente in fatto di gusti. Dolce, sensibile e disponibile più per gli altri che per sé stessa, invisibile, lieve d’anima. Non si faceva mai notar di proposito e d’ inverno cadeva a volte in depressione rinchiudendosi in casa sotto le coperte a guardare vecchi film di James Dean. A volte lo specchio la tratteneva a casa. Si sentiva talmente brutta da non riuscire a sollevare il mento, afferrare le chiavi e chiudere la porta dietro di sé. Così, semplice e complicato, un nodo alla gola su tutto, un imperativo in meno, passi tesi spezzati. Si trascinava per casa, prendeva un giorno libero, si negava nei suoi disordini, affogava nel circolo vizioso dei suoi pensieri. Ogni chiave ha una sua serratura. Possono essere lontane, lontanissime, possono non incontrarsi mai. Questo non toglie il fatto che per la serratura esiste la chiave giusta e viceversa. Marina era la chiave giusta e il suo amore in disuso, con un nome e cognome, era quella serratura. Portarsi vicini sarebbe stato un ballo forte, davanti a se stessi prima ancora che davanti a un pubblico. Ma addosso non aveva che sé stessa Marina, a tratti discontinui, tra nebbie e raggi di sole, spesso sola, anche nella danza, fragile dietro a ogni angolo.
Il tempo, un, due tre,prendimi, fermati qui, gira ancora di più. Il tempo a lasciare tutto sospeso, via i pensieri, quei molli perché, e i forse. Una piroetta per far girare la testa. Per dimenticare, un attimo. In questa vita a singhiozzi. Marina respirava solo con la danza, il suo cordone ombelicale con la musica. La magia dei passi. La stessa doveva trovarla in quelli della vita. Poi lui, in una tranquilla serata di metà Ottobre. Iscritto al corso di danza non per un vero motivo a provare le prese con il senso di smarrimento dichiarato dagli occhi.Stanchi occhi grigi.Claudio dopo la lezione la invitò a cena ma fu considerato troppo impegnativo da Marina.Stava per rifiutare uno dei pochi inviti del periodo quando si rese conto di non voler mortificare occhi già stanza abbastanza tristi. Vedeva Claudio da diversi mesi e seppure fosse più inesperto vi aveva anche danzato una decina di volte. Non sapeva nulla di lui, né lui aveva fatto qualcosa in precedenza per rompere il ghiaccio. Brevi sorrisi, ritirati per la concentrazione; si diceva che quel ragazzo nascondesse dei problemi…o forse uno strano passato.
Anche per curiosità lei gli diede appuntamento nella caffetteria gestita da Nancy, una delle sue migliori amiche, giusto per non sentirsi in territorio estraneo.
«Allora, come stai?» chiese Claudio appena seduti.
Lei sorvolò. Non le piacevano i preamboli.
«Chi è davvero Claudio?».
La domanda era una di quelle che ti mettono all’angolo subito o ti aprono una porta subito. Lui prese un respiro.
«Claudio è quel ragazzo che forse non ti merita, ma che vorrebbe amarti».
Silenzio. Imbarazzato.
«Non mi conosci nemmeno».
«Questo non è esatto».
Lui aveva scoperto tante cose di lei da amici in comune della scuola di danza, era andato perfino alla sede del suo lavoro per vedere dove più trascorreva il suo tempo, sapeva che macchina guidava, il suo modo di sparire misteriosamente per dei periodi, conosceva quell’ entusiasmo contenuto figlio di passioni bruciate troppo brevi. Ma sopratutto aveva danzato con lei, impreparato al suo fascino, e alla sua leggerezza di spirito. Aveva sentito, quello che le parole non trasmettono. La magia dei passi.
«Perchè non dovresti meritarmi?» chiese leggermente indispettita e ancora incredula della conversazione iniziata.
Per la sua tristezza. Silenzio.
«Per quel tuo come dire… essere altrove?».
La guardò come per voler accennare qualcosa. Ma non servì.
«Sapessi…», disse lei come aprendo una parentesi della propria vita.
Si erano appena incontrati, in un luogo imprecisato dell’ anima. Lui le prese le mani, non avevano consumato nulla.
«Facciamo che ci apparteniamo» sussurrò.
Sarebbe stato bello e triste, intenso e a singhiozzi, forte e vero, senza se. Portarsi vicini sarebbe stato un ballo forte davanti a sé stessi. Presero i cappotti uggiosi di una Milano sempre sveglia e uscirono, direzione la magia dei passi.