Le dita scivolano sul vetro appannato facendo quel rumore bello e antipatico. Mi piace quando le dita scivolano. La neve scende obliqua a raffiche contro il vetro e sopra il resto. Sotto la finestra il termosifone scotta. Poi c’è buio, e ci sono io. Le cinque e trenta del mattino. Asciugo i polpastrelli dalla condensa sulla finestra strofinandoli sul pile e resto a guardare la luce quasi arancione dei lampioni. Tra non molto il caffè, il trillo della sveglia, il rumore dell’acqua che passa nei condotti del vicino, il traffico mi diranno che c’è da tornare a muoversi come da copione. Da piccoli in fondo non si pensa a quanto possa essere scontata e ripetitiva la vita dei grandi. E in un soffio si è fin qui. Però io penso alle dita che scivolano.
Non pensare. Non pensare. Non pensare. Non fermarti. Per non sentire. Per coprire. Dimenticare. Dicono così. Sì, ma chi la toglie quella polvere dai treni che ci hanno spostato. Che ci hanno fatto incontrare. Dita intrecciate in seconda classe. Io, e la porto, la lascio sui pensieri. Le nostre giacche sull’erba. E i parchi, le città. Noi ingoiati. Noi ardentemente persi. A studiare ogni espressione che era quasi sempre un sorriso. Chi le strappa più quelle foto. Chi li toglie più i colori. Il sole. La brezza. Il lago. Il tronco di un albero. Chi le stacca più le mie dita dalla pelle morbida e bianca delle sue guance. Profumo di dopobarba. Non c’è niente di più semplice e niente di più introvabile.
Il vero freddo è quello del cuore. Le vere finestre sono quelle fatte di tempo. Quelle aperte a ospitare sogni, quelle che ci chiudono dalla realtà lasciandoci con il naso appeso al vetro o che ci avvicinano alla realtà facendo entrare qualcosa che prima non c’era. Le vere dita che scivolano sono quelle di persone senza bugie, che hanno sempre il tempo per un gesto così piccolo e il cuore abbastanza grande per il sentimento che v’è dietro.
Non pensare. Non aprire le finestre. Non far scivolare le dite. E vivi morta.
La tua fetta se la prenderà qualcun altro.
Quello che prova ad archiviare i tuoi progetti, molto prima del tempo. Quello che non ti lascia le ferie neanche a Natale. Le notizie non notizie. La vera vergogna che non viene più scritta, sbattuta in faccia ai viscidi. Le mille paure. Quella che prova a umiliarti, a metterti sotto i tacchi. Le costrizioni. I diritti sulla carta. Noi che ci giriamo per ignorarci e poi a rincontrarci in una rete sociale compromessa da sorrisi fatti da due punti e parentesi aperte. C’è sempre qualcuno prima di te e chi dice mai che arriverà il tuo turno. Poche cose vere. Il vento freddo sulla pelle. Il vento da nord. Bianco di freddo, la strada nel bosco, la musica nelle orecchie.
Il mio bambino. Che non vuole andare a dormire per stare sulle mie gambe. Mi sembra tanto. Un bicchiere che trabocca, lui. E un bicchiere mai pieno, io. Che non lasceremo tracce del nostro passaggio è evidente. Troppo piena la vita di cose e persone, troppo brevi le esistenze. Però io penso alle dita che su di lui scivolano. Gli occhietti attesi, i pianti giornalieri e le strette nel mio maglione. La mia voglia di vederlo nel sonno. Il profumo della sua pelle seta. La mia fierezza nel vederlo imparare ogni giorno. Sapere che avrà bisogno di me per tanti anni ancora ed io ci sarò.
Sono le 6 del mattino. Ho già spento la sveglia. Penso. Apro le finestre. Faccio scivolare le dita. Vivo da viva.
La mia non è una fetta facile. Ma nessuno l’avrà.
Ho fermato i treni. Non mi porteranno più nessuno.
Ma tremeremo al nostro nome. Succederà. Insieme alle dita. E ci sarà il ricordo dei passi. Ci si volta per perdere cose care. Un attimo. Autodistruttivo. Giornate di niente. Giornate di singhiozzi strozzati presi, messi tra i denti dei finti sorrisi. Guardami per credere. Che andremo avanti lo stesso senza tutta questa forza. Un giro per la stanza di cose dette che non ricorderai. In un bicchiere di vino la fine dei pensieri. Della giornata. Le lacrime asciutte. Il male. Le labbra morsicate. Il tempo. Lo strofinaccio di cucina in mezzo ai piedi. Durerà un attimo il suo veramente di domani. Aprirò gli occhi. Sarà il ricordo di un cuore ancora caldo. Caldo diverso.