Ancora per pochi giorni a Roma al Macro di via Nizza potete ammirare una bella mostra di Giulio Paolini, curata da Bartolomeo Piteromarchi, proveniente dalla londinese Whitechapel Gallery alla quale è destinata a tornare, ulteriormente arricchita di elementi. “Essere o non essere”, questo il titolo della mostra, racconta una vicenda artistica di evidenze e trasparenze. Paolini, genovese, classe 1940, lavora da anni a un tema a lui particolarmente caro: la visione dell’opera d’arte e il suo manifestarsi.
La poetica di Paolini, così fortemente regolata dall’attenzione per l’elemento visivo, eppur materico, colto nel suo significato più flagrante di evidenza e non di apparenza volubile, conduce la sua creazione verso il nitore, la trasparenza, la luminosità, il profilo emergente delle forme. Paolini è artista stimolante, fecondo: questo 2014 lo ha trovato presente in più sedi espositive. La mostra al Palazzo delle esposizioni di via Nazionale, ad esempio, “Anni 70. Arte a Roma”, ha ospitato due sue creazioni di grande intensità: un ritratto alla maniera di Lorenzo Lotto, dallo sguardo penetrante e intenso, impavido, incorrotto, rivolto verso l’osservatore, ostentatamente trasparente nell’animo, e una coppia candida di calchi di erme rivolti l’uno verso l’altro dal gusto prassitelico.
La mostra del Macro custodisce, fra le altre, due opere preziose: “Immacolata concezione”, una torre di Babele di cubi trasparenti che esaltano il furor creativo dell’artista sormontati da una sfera cristallina e riempiti di frantumi di plexiglas, collocati abilmente ad incarnare il processo di evidenza della creazione artistica e “Contemplator enim”, una sequenza di specchi protesi da servi di palazzo muti in cui l’osservatore vede riflesso se stesso. Nel bagliore luminoso che attraversa la consistenza evanescente delle due istallazioni Paolini ricalca fedelmente il percorso di scoperta cui l’artista perviene e a cui conduce l’osservatore, fatalmente incantato dal coinvolgimento visivo e fisico che procura la limpidezza della macchina scenica da lui creata.
L’attualità di Paolini è qui: nella dimostrazione serrata che il percorso creativo, l’illuminazione dell’artista, ieri come oggi, non è frutto di un’estemporanea accensione ma un processo di scarnificazione e acquisizione, raccoglimento e ricerca del vissuto e dell’evidente. Potremmo quasi suggerire che egli avanzi una polemica sottile, altrettanto iridiscente, contro chi vuole in tempi moderni fare dell’arte un fenomeno estemporaneo, effimero, di costume, di pura visibilità e di scarsa durata e consistenza. L’arte di Paolini, diversamente, è fatta per essere, per la permanenza e per la vista. Per Paolini forma è contenuto ma i contenuti possono, amaramente, non essere sempre forme. Perché solo a pochi eletti la forma, quella dell’arte vera, è concessa: quelli che non ne hanno mai dubitato il valore, la ragione, il sentimento o reciso la passione. Come scrive Pietromarchi: “Se (platonicamente) l’opera preesiste all’autore, egli può solo limitarsi a coglierne i riflessi. L’opera non nasce dall’autore – “art happens” la concezione è immacolata – ma piuttosto dalla sua complicità di “latore”, che si dispone ad accoglierla e ad annunciarla.
Per maggiori informazioni visita il sito del Macro.