Ha ottantacinque anni ed è una scrittrice; ma sopratutto è una donna dalle idee chiare e con tante cose da dire. Sto parlando di Ursula Le Guin, che incontra e incanta la platea del National Book Awards con un discorso che suona come una chiamata alle armi in difesa della libertà di espressione e di mercato della letteratura. Autrice della Saga di Terramare e La Mano Sinistra delle Tenebre, laureata in letteratura francese e italiana alla Columbia University, è vincitrice di moltissimi riconoscimenti tra cui cinque premi Hugo, sei premi Nebula, cinque Locus Award ed è stata finalista al Premio Pulitzer nel 1997.
In questi giorni Ursula Le Guin sta facendo parlare di sé grazie al discorso di ringraziamento per il prestigioso premio National Book Award, consegnatole da Neil Gaiman. Sono parole dure, sicure e incredibilmente vere quelle che Le Guin decide di rivolgere non solo al suo pubblico, ma anche agli editori e a tutti coloro che lavorano nel mondo dell’editoria, che sta sempre di più vendendo l’anima al profitto piuttosto che alla cultura. Un vero e proprio inno alla libertà, quello che la scrittrice cerca di trasmettere insieme ai suoi ideali ai giovani lettori, e forse futuri scrittori che avranno il dovere morale di combattere questa moda capitalistica nel nome della letteratura. Ecco per voi il discorso della scrittrice Ursula Le Guin tradotto in italiano.
“Grazie Neil [Gaiman, che le ha consegnato il riconoscimento, n.d.r.] e a tutti coloro a cui devo questo bellissimo premio, grazie di cuore. Appartiene anche alla mia famiglia, al mio agente, ai miei editor, perché se sono qui è merito loro quanto mio. E sono felice di accettarlo, e condividerlo, con tutti gli scrittori che sono stati così a lungo esclusi dalla letteratura; i miei compagni autori di fantasy e fantascienza, scrittori dell’immaginazione che per cinquant’anni hanno osservato mentre bellissimi premi come questo andavano ai cosiddetti realisti.
Credo che stiano per arrivare tempi duri in cui avremo bisogno della voce di scrittori capaci di vedere alternative a come viviamo ora, vedere oltre la nostra società paralizzata dalla paura e le sue ossessive tecnologie, e persino capaci di immaginare basi concrete per la speranza. Avremo bisogno di scrittori capaci di ricordare la libertà: poeti, visionari — i narratori realisti di una realtà più grande. Credo che oggi si senta il bisogno di autori in grado di vedere la differenza tra la produzione di un bene di mercato e la pratica di un’arte. Creare materiale scritto seguendo le necessità delle strategie di vendita così da massimizzare il profitto d’impresa e i ritorni pubblicitari non è esattamente lo stesso che scrivere o pubblicare responsabilmente. (Grazie, voi coraggiosi che applaudite).
Nonostante questo vedo gli uffici vendita prendere un ruolo predominante sulle redazioni editoriali; vedo i miei stessi editori, in uno sciocco panico dovuto a ignoranza e paura, vendere ebook alle biblioteche pubbliche a sei o sette volte il prezzo che farebbero a un cliente qualsiasi. Abbiamo appena visto un profittatore cercare di punire un editore per la sua disobbedienza e scrittori minacciati da una sorta di fatwa corporativa, e io vedo molti di noi, che scriviamo e pubblichiamo libri, accettare tutto questo. Lasciando che affaristi ci vendano come deodorante e ci dicano cosa scrivere e cosa pubblicare. (Beh, ti amo anch’io tesoro. [Ridendo, in risposta a un “Ti amo!” urlato dal pubblico, n.d.r.])
Sapete, i libri non sono solo beni di consumo. Il fine commerciale è spesso in conflitto con gli scopi di un’arte. Viviamo nel capitalismo, il suo potere ci sembra assoluto. Così sembrava anche il diritto divino dei re. Gli esseri umani possono resistere e cambiare ogni forma di potere umano e la resistenza e il cambiamento spesso inizia nell’arte. Molto spesso proprio nella nostra arte, quella delle parole.
Ho avuto una carriera lunga e bella, spesa in buona compagnia. Oggi, alla sua conclusione, non voglio vedere la letteratura americana tradita dai suoi stessi esponenti. Noi che viviamo scrivendo e pubblicando vogliamo — e dovremmo esigere — quanto ci è dovuto. Ma il nome di questo nostro premio non è profitto. È libertà.”
Non ci resta che seguire il suo esempio.