Elena Ferrante, serve l’identità o basta il successo?
I lettori la amano, la leggono e rileggono infischiandosene di chi sia, non c’è dubbio. Si tratta di lei, Elena Ferrante, pseudonimo femminile dell’autore della tetralogia di successo L’amica geniale (Edizioni e/o, 2011) di cui resta un mistero l’identità. Quattro i libri che ricostruiscono un arco temporale che va dagli anni ’60-’70 ad oggi, un tramite la vita delle due protagoniste, Lenù e Lila, dall’infanzia alla maturità, riproponendo così i primi passi del femminismo, del movimento operaio e il dramma tangentopoli. La storia dominante tuttavia resta quella personale delle protagoniste ma non passa in sordina il valore storico e culturale dell’opera che tanto ha raccolto e raccoglie credito nel mondo, soprattutto negli States. L’America l’ha consacrata anche il New Yorker grazie alla traduzione di Ann Goldstein; da agosto è approdata felicemente in Germania, dove il pubblico attendeva febbricitante l’uscita de L’amica geniale. Della Ferrante si hanno solo interviste fiume rilasciate ai giornalisti tassativamente tramite email. Non una foto, né un ritratto. Mai nessuno è riuscito ad incontrarla, ad ottenere un colloquio. E’ stata inserita nella lista dei 100 scrittori più influenti del pianeta e nel 2015 Roberto Saviano l’ha proposta come candidata al Premio Strega.
A “Der Spiegel”, noto settimanale tedesco che ha dedicato ampio spazio alla scrittrice italiana che scotta a cura del direttore del giornale la Ferrante ha detto: “Mi chiamo Elena, sono nata a Napoli e ho delle figlie”. Il suo lavoro principale? No, non vive di scrittura. Un altro appuntamento virtuale quello concesso allo scrittore Nicola Lagioia, l’intervista è reperibile qui, pubblicata su La repubblica (04 aprile 2016). Invito a leggerla per intero. All’autore – o autrice – ammesso sia donna, non interessa la fama, non i salotti televisivi, non la notorietà, che disdegna preferendole l’anonimato di una maschera dell’invisibilità indossata con disinvoltura ed ostinazione, senza scioglierla alle domande dei giornalisti più pervicaci.
Chi è Elena Ferrante?
Tante le ipotesi di identificazioni scalzate negli ultimi anni: prima si pensò a Goffredo Fofi, poi a Domenico Starnone finiti sotto la lente di ingrandimento in una sorta di caccia alla volpe, poi è spuntato il nome di Anita Raja, moglie di Starnone e traduttrice di Edizioni e/o, ovvero la casa editrice che ha lanciato la Ferrante nel mercato editoriale. A rafforzare il sospetto che sia proprio lei, Anita Raja, è stata pubblicata un’inchiesta del giornalista Claudio Gatti giornalista de Il sole 24 ore pubblicata sull’inserto domenicale dello scorso ottobre. Nel lavoro si dimostrerebbe l’identità dell’autrice così amata anche negli USA, fornendo tra le altre l’analisi dei redditi lievitati in corrispondenza cronologica col successo della saga. Nonostante il servizio realizzato da Il sole, è arrivata presto la smentita pubblica della casa editrice. Persiste allora la nube di perché, di domande circa la vera faccia della Ferrante.
Chi ha bisogno di conoscere il suo volto? Ai lettori basta leggere il capolavoro che è L’amica geniale– ma non solo – che parla di famiglia, di destino, di amicizia e litigi furenti, di legami inossidabili che si rincorrono come l’aquilone col vento, il vento con l’aquilone. Non è necessario sapere di più, perché la Ferrante non verrà mai meno al suo patto con i lettori. La scrittura è un atto di superbia, un modo per riconoscere a se stessi il proprio io, dunque qual è la sua pubblica utilità?
Così riflette Ferrante nell’intervista a Nicola Lagioia, eppure il successo dice il contrario. Sembra che il mondo abbia un estremo bisogno di grandi narratori, cronisti del vivere dal potere di plasmare storie e circondare di emozioni realistiche, non effimere. Riportiamo la sua dichiarazione agli editori che dal 1991 accettarono di mantenere il “segreto” sulla sua identità: “Non parteciperò a dibattiti e convegni, se mi inviteranno. Non andrò a ritirare premi, se me ne vorranno dare. Non promuoverò il libro mai, soprattutto in televisione, né in Italia né eventualmente all’estero. Interverrò solo attraverso la scrittura”.
E così ha fatto. Puntuale, fedele, coerente. Una scrittura fisiologica. Unico interesse, narrare. Come si può biasimarla, disturbarla dal sonno della scrittura in cui si è rinchiusa fiduciosamente?
Ma allora, a chi chiede di restare invisibile e sereno, e incide così profondamente sull’immaginario globale e sulla gioia letteraria comune (pochi non la amano o la criticano negativamente) viene solo da rispondere che no, nessun giornalista si arrenderà ad un mistero, ad un segreto irrivelato. Per il momento è sufficiente incontrare Lenù e Lila e cercare di risolvere l’enigma dietro i loro passi caotici e disordinati.
Perché Elena Ferrante è anche un prezioso scrigno. Custodiscono un alcova, dove la scrittrice, o lo scrittore, si culla della propria inesistenza corporea. Perché nessuna Ferrante vive realmente, se non nei personaggi che ha plasmato a sua immagine e somiglianza. Nessun giornalista si fermerebbe dinnanzi a tanta grazia ed umiltà artistica. In più, i misteri valgono almeno un’indagine.