Uscito con l’Editore Laterza il poema dantesco che manda all’inferno tutta la filosofia.
“Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza”.
Con queste celebri parole entro una “oracion picciola” Ulisse convinse i suoi compagni ad arrischiarsi nell’impresa di superare lo Stretto di Gibilterra. Millenni sono passati da allora e la brama di conoscere non si è mai arrestata, anzi, ha valicato il limite e si è macchiata di tracotanza (hùbris-direbbero i Greci). Dalla crisi del Novecento poi col suo relativismo concettuale non ci siamo più ripresi, fino a scivolare, come ammonisce a più riprese il filosofo grecofilo Galimberti, nel Nichilismo. Quanto grande sia la responsabilità della filosofia non è dato sapere, ma è certo che la forza della parola è potentissima, la vera padrona- come asserisce Gorgia da Lentini- e il procedimento ragionativo della filosofia trasversale a tutte le discipline segna profondamente le coscienze e cambia gli esiti delle evoluzioni/involuzioni delle civiltà.
Stante simile responsabilità, la stragrande maggioranza dei filosofi merita di finire all’inferno in un poema filosofico, in cui si narra il viaggio del Poeta attraverso il buio inferno dell’intelletto, alla ricerca di una via d’uscita dalla condizione di stallo e di confusione diffusa in cui sarebbe precipitato. Due burloni della filosofia, Achille C. Varzi, docente di logica e Metafisica della Columbia University e Claudio Calosi, filosofo della scienza all’Università di Urbino, hanno elaborato il loro inferno: ventotto canti, in terzine, sul viaggio del Poeta nel buio pesto dell’intelletto. Fingono, secondo un noto stratagemma (ricordate Scott e Manzoni?) di essere venuti in possesso di un manoscritto originale autografo e senza indicazioni e di averlo trascritto, integrandolo con note di spiegazione dei contenuti. Ne è nato un libro originalissimo che ho letto e che consiglio, perché ridendo castigat mores: Le tribolazioni del filosofare, edito da Laterza, dove precipitano nell’inferno molto ciarlatani e filosofi, collocati in bolge diverse in base agli errori commessi e alle conseguenti pene, attribuite secondo la regola del contrappasso dantesco.
Guida del Poeta ovviamente Socrate, il filosofo per antonomasia, quello che maieuticamente aiuta a partorire la verità e che rappresenta la più alta convergenza tra la passione per la sapienza e la condotta di vita. Integerrimo fino alla fine non si sottrae alla morte, pur potendo fuggire, perché fedele alle leggi della patria, per quanto inique, e soprattutto al suo dàimon che gli fa guardare la morte in faccia senza paura. La filosofia è cosa seria e di alta responsabilità e non è assolutamente vero che si può affermare qualsiasi sciocchezza, anzi, al contrario, chi sbaglia paga. Ma siccome il ragionamento procede per prove ed errori, anche la filosofia può commetterne, ecco perché l’inferno filosofico ha una porta di uscita, differentemente da quello dantesco. Un poema dunque a lieto fine, in cui l’errore viene punito, ma anche interpretato come una risorsa per correggersi e uscire dal buio nel quale siamo scivolati. Qui non troveremo golosi, iracondi, eretici ma dualisti, realisti ingenui, scettici, nichilisti e agli avversi al possibile. Presenti in primis i pusillanimi, corrispondenti agli ignavi danteschi, quelli che non hanno la forza di assumere una posizione e di fare una scelta e per contrappasso: ”E poi che ‘n vita furono in disparte/ A decider nulla veramente/ quel che non può decider nessun arte/ si prova-no qui a provar eternamente”.
Pessimo il destino di Derrida, il fondatore del decostruzionismo, reo di aver gettato confusione nel linguaggio e di aver destrutturato la conoscenza filosofica. Scivolando in una visione egotica, scettica e nichilista. Inoltre il suo pensiero, particolarmente complesso ed ellittico, è più vicino ad una forma letteraria che ad una rigorosa elaborazione filosofica. Quindi meriterebbe di essere in più gironi dell’inferno. Detrattori a iosa ne ebbe in vita e tanti rimangono anche post-mortem. All’inferno anche tutti gli irresponsabili, i negatori del libero arbitrio; parimenti i nichilisti e gli esistenzialisti, in primis Sartre, nel cui girone riecheggiano versi de La nausea. Stessa sorte per Heidegger che farnetica sul nulla che nulleggia. Tra gli irrealisti/ nichilisti ovviamente Nietzsche, il filosofo che pensava che la storia non è costituita da fatti, ma da interpretazioni, macchiandosi di irrealismo. Che fine fa Vattimo che fece di Nietzsche il suo vessillo filosofico? Anch’egli scivola nell’errore con il suo irrealismo, mentre il Poeta ne condivide l’antirealismo. Emanuele Severino? Finirà fra i timorosi del cambiamento, come antieracliteo. Ma la bolgia più popolata è quella dei fraudolenti, plagiatori e cialtroni, la schiera più nutrita ieri come oggi. Io ci metterei Lacan per l’oscurità del linguaggio come Derrida e voi? Invito i lettori a compilare la categoria più frequentata.