Quanti autori decidono di scrivere della propria terra nella nostra narrativa contemporanea? Non li ho contati, ma pochi. Perché? Forse perché farlo rappresenta una sfida, per tempo e risorse, una di quelle dure. Rispetto al documentarsi, fare ricerca, mettersi alla prova con elementi geografici, sociologi, storici, politici, ideologici, è più facile inventare e basta. E leggiamo dei bei libri che non hanno un briciolo di amore e forte appartenenza a dei luoghi. Non sono quelli di Vanessa Roggeri, però.
Ho incontrato Vanessa, ed è stata entusiasta di parlarmi di questo. Di quello che c’è dietro la storia di “La cercatrice di corallo“, di quello che rappresenta per lei S’Isula. La Sardegna. Reputo le sue risposte interessanti per i suoi lettori, che possono arrivare meglio all’anima della scrittura dell’autrice, e anche per coloro che in qualche modo si stanno cimentando con la scrittura e hanno un grande sogno. Ecco a voi domande e risposte.
Terzo libro, stai facendo tante presentazioni, raccontami le tue impressioni di questo intenso tour.
L’impressione è che ci sia stata una crescita rispetto ai precedenti libri. In questi anni ho fatto molte presentazioni, siamo arrivati già a 150, ma anche quelle nuove fatte con questo libro, da gennaio ad oggi mi hanno permesso di vedere nuovi luoghi e di conoscere tante nuove persone. E stanno arrivando tanti inviti per i mesi estivi. Penso che sia importante perché la carriera si costruisce con il tempo, passando attraverso il rapporto con il pubblico e il rapporto con gli altri colleghi. Bisogna lavorare e farlo con molta determinazione e pazienza sapendo che è quella la propria strada.
Qual è il tuo rapporto con la Sardegna e con il mare in relazione alla narrazione? Ognuno vive a suo modo il territorio e la sua storia, il modo di raccontarlo probabilmente ne è anche una conseguenza. Come li vivi?
Penso che la Sardegna sia narrazione. Una narrazione implicita che ritroviamo negli elementi naturali come il mare, le montagne, le rocce o gli alberi. Ad ognuno di essi è legata una storia. In questo senso la narrazione è un modo di essere sardi, di far vivere il proprio passato. Quello che racconto è inscindibile dalla terra, il personaggio rispecchia ciò che lo ha “contaminato” dopo la nascita e durante la crescita in quel luogo specifico. Io narro una Sardegna che ha quel potenziale di speranza che mi piace vedere.
Le mie non sono storie che quando finiscono senti che è davvero finita la vita dei protagonisti e il legame tra la storia e il lettore non si spezza. Questo senso di speranza apre ad altre possibilità, senza ripercorre cliché, soprattutto negativi, come i sequestri, il banditismo o ribadire quello che è stato il pessimismo della Deledda. In “La cercatrice di corallo” parlo di due ragazzi che ragionano con la loro testa e non danno origine a una faida come vorrebbero le loro famiglie.
L’impressione, almeno questa volta credo di non sbagliarmi, è quella che tu sia profondamente legata alle tue radici con fierezza e questa è una cosa molto bella che si sta perdendo fra i giovani. È per questo motivo che le tue storie, sebbene frutto d’ingegno, contengono costanti riferimenti a fatti luoghi e date reali? È possibile che il racconto ti aiuti a non perdere il contatto con quelle radici ma, anzi, a rafforzarlo?
Assolutamente, per la scrittura di una storia parto da fatti reali. Nella fase di documentazione che segue in cui approfondisco la storia dell’Isola, certi aspetti particolari, si va a completare un quadro che prima non avevi. Ti ritrovi a conoscere aspetti meno noti, meno belli, anche vergognosi della tua storia. Nel momento in cui li conosci e li accetti puoi dirti veramente sardo. Costruisci la tua identità di sardo, quello che non si chiude nell’isola ma si confronta con il resto della storia, quella di chi ti ha preceduto e quella di altre popolazioni.
Ho trovato interessante nel romanzo l’incontro tra mare e terra, se pensiamo ad Achille e Regina. Vita rurale e vita costiera si uniscono grazie al potere del libro, della lettura. La sete di conoscenza, la curiosità dei due ragazzi viene soddisfatta dai libri, questa cambierà il corso delle loro vite. Come sei giunta a questa scelta narrativa?
La scelta parte dal corallo che ho incontrato esposto in numerose vetrine ad Alghero in occasione della presentazione del mio secondo libro. Mi sono resa conto di non sapere nulla sul corallo e sulla sua importanza in relazione alla Sardegna. È un mondo segreto, una storia millenaria molto importante per tutto il Mediterraneo. E poi viaggiando ho scoperto una cosa, che la Sardegna ha come un’anima divisa in due: la Sardegna della costa e quella della montagna. Il luogo in cui si nasce e le ricorrenze legate a questo condizionano l’anima delle persone, chi vive in montagna vive ad esempio un isolamento che è un fattore mentale più che fisico, non pensa nemmeno al mare. Anche se in effetti non è molto è distante. In Sardegna sono tanti i comuni di montagna, più di 300 isole nell’isola. Gli abitanti della costa d’altro canto vivono di spazi e di confronti, hanno la possibilità di frequentare persone di altre provenienze. Di aprirsi. Una differenza, una vera contrapposizione.
“Quando si dice che la Sardegna è un continente forse non è solo un modo di dire…”, sorride Vanessa Roggeri.
Un elemento psicologico è l’amore filiale, oppressivo, prevaricante. Parlarne ora, in una società completamente diversa improntata più sull’indipendenza e sulla permissività, sembrerebbe superato. Tu invece l’hai fatto, tornando indietro nel tempo. Che sentimenti hai provato durante la stesura del romanzo, quando ti confrontavi con queste due realtà sociali opposte, in generale ma soprattutto come donna?
Penso che ci sia un’impostazione attuale della famiglia che dipende dal suo luogo geografico, più ci si avvicina al sud più si ha a che fare con un modo arcaico e chiuso di vedere le cose. Mi capita di dialogare spesso con le mie lettrici su Facebook e attraverso alcune conversazioni mi sono resa conto che spesso le ragazze vivono situazioni difficili in famiglia. Queste situazioni esistono. Cosa provo? L’istinto è di ribellione, come donna e come scrittrice, ma nelle mie storie i personaggi sono autonomi. Io divento i miei personaggi e i miei personaggi non diventano me, loro sono liberi di muoversi, anche se questo non è affatto semplice.
Il corallo rende ricchi, la mancanza di corallo rende poveri. Un debito può rovinare una famiglia, una caverna può risollevarne l’orgoglio. Cos’è la fortuna, la sfortuna per Vanessa Roggeri?
Credo che qualunque destino sia riconducibile a una scelta, consapevole o meno, di percorrere una strada, cambiare uno status quo, prendere e partire. La fortuna è qualcosa che ognuno deve cercare per sé stesso, è lottare per qualcosa. La sfortuna è tutto ciò che non è sotto controllo, c’è anche quello certo, ma in linea di massima molto dipende dal nostro coraggio e dalla tenacia nel perseguimento degli obiettivi.
In questo racconto c’è magia, nei tuffi in mare aperto di Regina, nelle galoppate di Achille su Totogna, nella libreria murata nascosta e ritrovata e in tanti altri piccoli gesti ed eventi. Questi singoli eventi portano il lettore non solo nel passato ma anche in uno spazio narrativo sicuro, piacevole che contrasta la durezza della realtà che prevale nella storia. Pensi di poter essere d’accordo?
Penso che questo abbia a che fare con il punto di vista dell’autore, di come vede il mondo. Il mestiere di scrivere comprende certi elementi formali che acquisisci con il tempo e impari, si costruisce con l’esperienza. Ci sono però anche certi elementi sostanziali che secondo me non possono essere insegnati da nessuno, hanno a che fare con la capacità di osservazione, il ritmo, l’essere interessante per i lettori, la capacità di vedere il mondo, ovvero il tuo punto di vista unico. È il mio modo di raccontare, cercare rendere interessante il vissuto. Mi è capitato di rielaborare eventi realmente accaduti nella mia vita e di inserirli poi, al momento giusto, nella storia.
Siamo arrivati alla fine della nostra chiacchierata, ti chiedo: c’è sempre un motivo per scrivere un libro. Cosa ti aspettavi da te stessa dalla scrittura di questa storia? Quando l’hai terminata e l’hai inviata per l’editing che tipo di pensiero hai fatto?
Questo libro ha rappresentato per me una sfida, perché ho raccontato un ambiente che mi era del tutto estraneo. Nei primi due libri mi sentivo un po’ a casa, raccontavo gli ambienti e le storie di mia nonna o quelli di Cagliari, la mia città. In questo libro racconto di Borutta e Alghero luoghi estranei per me ma che dovevano essere raccontati al lettore con familiarità. Raccontare del corallo e inserirlo in maniera naturale nella storia è stata una sfida, raccontare l’amore dei protagonisti è stata una sfida.
A storia ultimata tutto questo mi ha lasciata soddisfatta, desideravo e mi aspettavo il riconoscimento di grandi professionisti degli addetti ai lavori, come quelli che lavorano in Rizzoli. Questo significa anche che sto lavorando nel modo giusto come autrice e in rapporto ai lettori. Con loro il legame, il filo è ancora più vivo. E in tutto questo non tradire me stessa era fondamentale.
È stata una bella chiacchierata, è piaciuta a entrambi. Mi stringe la mano e dice “Alla prossima”. “Alla prossima sì, ti inviterò alla presentazione del mio libro”, rispondo ridendo. Ovviamente il mio libro non esiste.
Tirare fuori l’anima dalle cose, scriverne la magia. Ricalcare le proprie orme senza seguire quelle degli altri, ostinatamente. Lavorare su sé stessi perché siamo noi il valore più grande. Lo ha detto Vanessa Roggeri in questa intervista, io lo sto solo riassumendo. È così che si scrivono storie in grado di toccare altre storie come le nostre. [amazon_link asins=’8817098809,881167364X,B00E3BCX02,B00V58MBGW’ template=’ProductCarousel’ store=’leggacolo-21′ marketplace=’IT’ link_id=’e2539430-9313-11e8-bc52-bb9c7386082e’]