La pulsione amorosa è quanto di più radicale e ineludibile vi sia nell’essere umano; esso ci attraversa e ci spinge alla continua ricerca del Sé che si rispecchia nell’altro, è forza propulsiva, fonte di vita eterna, che si ritrova netta e pulita al cospetto di Dio.”Ogni evento d’amore è decretato dal cielo”afferma il filosofo U. Galimberti, legando la tematica amorosa alla dimensione trascendente, in quel punto in cui il Tutto diventa Uno, come nella danza di Shiva, la dea orientale che contiene in sé gli opposti, la terra e l’acqua, il sole e la luna, la notte e il giorno, l’elemento femminile e quello maschile, l’Ying e lo Yang.
“Gli amanti che passano la vita insieme non sanno dire cosa vogliono l’uno dall’altro. Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provino una passione così ardente a essere insieme. E’ allora evidente che l’anima di ciascuno vuole l’altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio” (Platone, Simposio, 192 c-d).L’amore per il filosofo Platone non è solo scambio di piacere carnale, ma è anzitutto divinazione, è interrogare il pozzo buio e profondo dell’Essere, perché gli amanti si cercano dentro le parole, parole scavate, scovate, cercate, inseguite, braccate da quel sentimento che lega indissolubilmente gli amanti oltre la morte stessa. Amore e l’amicizia hanno il medesimo etimo: a-morte; essi tengono lontani dalla morte interiore e danno vita all’essere stesso che s’incarna nel desiderio dell’altro, un altro solo intravisto nel buio del pozzo profondo. Attraverso la fusione delle anime si perviene alla dimensione metafisica che consente la percezione del Bello/Buono assoluto, laddove riposa la Sapienza che è nient’altro che logos.
Ecco che oggi, più che mai, in cui sfrenato è l’individualismo narcisistico, si rende urgente riproporre il tema dell’amore in chiave classica, inducendo a una seria riflessione e aprendo finestre di pensieri che smantellino l’io mascherato alla ricerca della propria identità. Operazione consapevole in cui l’individuo oggi si riconosce, di là delle convenzioni sociali che non rappresentano più un vincolo come nel passato. Nei tempi attuali l’amore ha cambiato radicalmente forma, è “diventato il luogo della radicalizzazione dell’individualismo, dove uomini e donne cercano nel tu il proprio io, e nella relazione non tanto il rapporto con l’altro, quanto la possibilità di realizzare il proprio sé profondo”. Mentre nelle società tradizionali il singolo aveva poco spazio di realizzazione personale, oggi l’individualismo rende l’amore il luogo della scelta consapevole che diventa assoluta (ab-soluta), sciolta da tutto, in cui ciascuno libera quel profondo se stesso che non può esprimere nei ruoli che occupa in ambito sociale.
In questa ricerca bisogna andare cauti; ecco che una rilettura di Platone può aprire nuovi orizzonti sulla relazione amorosa, tenendoci lontani da un esasperato narcisismo, poiché oggi l’amore è il luogo della nostra irrazionalità travolgente in cui si cerca un ambito di libertà nella società razionale della tecnologia, sicché l’amore è violazione dell’integrità degli individui, è toccare con mano i limiti dell’uomo, perché esso non è solo una vicenda umana ma un’esperienza metafisica di quell’uomo che solo tra gli esseri viventi sulla terra ha consapevolezza della morte; il che lo obbliga al pensiero dell’ulteriorità legando l’amore alla trascendenza. Dio, infatti, si riconosce in tutti i nomi che gli vengono assegnati, perché ama l’accadere libero della vita, che nulla vuole e nulla giudica, perché, come dicono i mistici, semplicemente ama. Occorre ricondurre il pensiero alla figura di Dio, in cui si dissolvono le storicizzazioni dell’essere e ci s’incarna nel pensiero profondo del limite. Solo ricongiungendosi con l’Eterno, si desidera costruendo sulla mancanza, ridando forza a quel sentimento, che è de-siderium, caduta de-sideribus, incontrato sulla strada che conduce all’immortalità attraverso l’esperienza stessa della morte. Così nella meditazione, come nell’orgasmo, si sperimenta la morte della propria individualità immergendosi nel ritorno all’Essere che è nostalgia di ciò che fummo, prima di essere gettati in questo mondo. Allora si scopre che nessuno è legato indissolubilmente al proprio sesso, ma che l’ambivalenza sessuale è quanto più ci caratterizza; il che obbliga le terapie psicologiche a riconfigurare se stesse, in nome di quel desiderio di totalità mai sopito. Si scoprirà così che perversioni sessuali e idealizzazione dell’oggetto attengono alla materia umana e che nessuno può sottrarsi a questa logica, perché esse non sono altro che eccesso di ciò che siamo.