Vi siete mai chiesti chi siamo? Certo, questa ha più l’aspetto di una domanda esistenziale, destinata probabilmente a non ottenere mai una risposta pienamente esaustiva. Potremmo definirci semplici uomini o donne, così come esseri animali, figli dell’universo o di Dio, ma non avremo mai del tutto dato una risposta esauriente al dilemma posto in principio. Proviamo allora a concentrarci non tanto su noi stessi, evitando dunque di far emergere un egoismo sfrenato e destinato a farci crollare nel baratro, ma ad immaginare dove viviamo.
Perché, in fin dei conti, noi siamo ciò che siamo grazie al luogo in cui viviamo. L’uomo, nella sua potenza e debolezza, è una pedina, un elemento facente parte di qualcosa di molto più grande. Proviamo allora a rispondere al quesito esistenziale attraverso l’arte sublime della lirica. Attilio Bertolucci, autore parmense del secolo scorso, ha utilizzato come titolo di una sua poesia, rimasta nel buio degli scaffali, il termine torrente. Il testo, appartenente ad una raccolta intitolata Sirio, esprime in maniera limpida, proprio come le acque di un torrente, la figura di un corso d’acqua. All’interno dei versi però traspare qualcosa di molto più profondo.
«Spumeggiante, fredda,
fiorita acqua dei torrenti,
un incanto mi dai
che più bello non conobbi mai;
il tuo rumore mi fa sordo,
nascono echi nel mio cuore»
Ed è proprio questo il punto: il torrente, l’acqua, il profumo e la natura generano pulsioni spontanee nell’animo dell’uomo. È la natura ad essere realmente protagonista della nostra vita. Una natura che esprime, attraverso il suo regolare andamento, una sensazione di bellezza unica, speciale, addirittura inimmaginabile.
Quante volte ci siamo ritrovati immersi nello splendore di un bosco o semplicemente lungo le rive di una spiaggia completamente soli? Quante volte abbiamo provato a decifrare il messaggio più bello che la natura ha voluto comunicarci? L’uomo ha perso la sua bussola. L’uomo non ha più ritrovato la strada di casa. Spesso si trova disperso nel mondo immaginario che circonda la sua mente, tralasciando dunque l’importanza della sua stessa esistenza.
«Dove sono? Fra grandi massi
arrugginiti, alberi, selve
percorse da ombrosi sentieri?»
L’uomo ha completamente smarrito la sua cittadinanza universale, quella cittadinanza che lo renderebbe protagonista di un mondo idilliaco e naturale, così astratto ma al contempo reale. L’uomo, appunto, ha smarrito la risposta più importante alla domanda iniziale. Chi sono?
«Mi sento stanco, felice
come una nuvola o un albero bagnato»
Attilio Bertolucci ci mostra l’unico lato felice dell’uomo novecentesco. Ci mostra le sensazioni, le emozioni e gli stati d’animo di un uomo che ha deciso di uscire fuori dal mondo contaminato dalle guerre, dall’odio e dai conflitti sociali. Ci mostra un uomo che è capace di mettere in pratica la sua relazione con l’intima natura del mondo che lo circonda. Senza paure. Senza timori. Ci mostra un uomo che, osservando il letto freddo e spumeggiante di un torrente, riesce finalmente, forse per la prima volta, a rispondere realmente alla fatidica domanda. Chi sono?
L’uomo risponde, senza pronunciare parola. L’uomo ha ritrovato il sentiero. Lo stesso sentiero che dovrebbe percorrere oggi: quello della natura e dell’amore per essa.