La buona ragione che ci serve tra le buone ragioni per precedere il destino di qualche giro spesso si chiama “coraggio”. Una risposta di un definitivo possibile, forza interiore che si trasforma nell’atto che “supera la prova dei fatti” diventando parola, sacrificio, rivoluzione.
Il coraggio è la risposta degli eroi normali alle domande estreme. Un eroe normale, una risposta diversa, una storia diversa. Gabriele Romagnoli ne racconta una decina nel suo nuovo libro “Coraggio!” pubblicato da Feltrinelli. Il punto esclamativo nel titolo non è un caso, non potrebbe essere un errore tipografico perché questo libro dal titolo in avanti proietta nelle nostre menti l’idea di azione del coraggio. Storie al passato che continuano a vivere, risposte forti, il coraggio è sempre in corsa, se si potesse rappresentare graficamente sarebbe un punto esclamativo.
Una di queste storie è quella dell’ex calciatore del Barcellona Éric Abidal, un professionista abituato alle sfide e abituato ai colpi duri, gioca terzino. Un tumore al fegato è un colpo duro ma a questo tipo di colpi non sei mai pronto, tantomeno a 32 anni. Viene operato due giorni dopo che gli è stato diagnosticato. Vita in bilico, carriera a rischio, senza andare troppo lontano finale di Champions League a rischio. Anzi, ipotecata. Si gioca due mesi dopo e il recupero è impensabile. A quei livelli agonistici i giocatori stanno fuori dal campo di gioco per guai molto meno seri, pubalgia, acciacchi muscolari, affaticamento, concentrazione mentale non perfetta.
Abidal è uno che non molla, come tutti i calciatori sogna la finale di Champions, sogna di poter continuare a fare ciò che ama fare. Il 28 Maggio 2011 è in campo per giocarsi quella finale, ce la fa e la vince, nella maglia al posto del numero io avrei stampato un punto esclamativo. Me la ricordo quella finale, l’ovazione del pubblico al suo ingresso in campo, a ogni passo si guadagna un poco di stima in più, il cronista che ripete qualcosa come “incredibile, due mesi fa nessuno l’avrebbe detto”, la commozione del suo allenatore Pep Guardiola davanti a quella festa dentro alla festa, tutta per il suo giocatore. Una partita, una vita, Abidal vive una gigantesca metafora per vincerla. Non per partecipare. Pesa. Certo che pesa. Anche la coppa della vittoria. Forse al fischio d’inizio non sa ancora di essere un eroe normale.
Un punto esclamativo più grande della paura di morire. Questo. Abidal non ha pensato di guardarsi quella partita in tv, ha scelto di essere l’uomo che voleva e doveva essere, per dirla con le parole di Romagnoli. Rischiando. Il coraggio non gioca al ribasso, si gioca tutto.
Al fondo di tutte le nostre paure c’è questo: la morte. […] La sappiamo affrontare quando abbiamo qualcosa di importante a cui dedicarci. Una buona ragione diventa anche l’unica possibilità di scambio attraverso il sacrificio. Il coraggio può essere l’effetto collaterale di una causa alla quale ci si vota. È la passione che trasmette a rendere qualcuno capace di andare oltre il proprio limite, di sfidare la morte.
La storia di Abidal mi ha fatto pensare che ognuno ha il suo campo da gioco, magari non è un rettangolo di erba, è il lavoro che ama, è un talento, è un amore smisurato, un posto che ha deciso che è casa e deve restare casa. E improvvisamente ci si può ritrovare a percorrerlo con qualche lacrima decisamente più pesante, con il terrore di dover lasciare, con l’incubo del vuoto. Nessuno può aiutarti, solo tu puoi rendere l’impossibile possibile. O almeno provarci. Magari freghi il destino, come Abidal, lo precedi, gli metti un punto esclamativo davanti e gli fai cambiare strada.
Coraggio! ci ricorda questo, con storie come questa. Racconta di quel coraggio, umano ed eroico, che deve essere più duro della paura, altrimenti non potrebbe sconfiggerla, e tuttavia commovente. Il coraggio è la risposta degli eroi normali alle domande estreme, quelle dove ti giochi tutto il montepremi in palio. La risposta definitiva fermata da un punto esclamativo. La risposta che, comunque vada, vince sempre.
La accendiamo?