Cosa si intende per stress? In diversi affermano che una vita senza stress non sarebbe vita. Quotidianamente siamo noi tutti, “violentati” da ogni tipo di stress. Sempre più spesso la persona non riesce ad affrontare efficacemente i momenti critici della propria esistenza che ne derivano. Ciò che più lede l’integrità del singolo individuo riguarda la sfera lavorativa. L’informazione mediatica ci arriva ogni giorno come “una spada di Damocle” a ricordarci che il nostro sistema economico è in crisi. Il lavoro non c’è, sono migliaia le persone che tutti i giorni ricorrono ad una spasmodica ricerca lavorativa, le aspettative rimangono per la maggior parte dei casi disattese, in stand by. Altre persone, invece il proprio lavoro lo stanno perdendo. Ciò scaturisce un forte sconforto, che sta portando ad una vera e propria condizione patologica: le aspettative future, la stabilità, la progettualità sono in bilico.
Le persone che invece, un lavoro ce l’hanno, combattono per mantenerlo, si “accontentano”, sono declassate, il salario si abbassa, il proprio ruolo perde di produttività, concretezza e individualità. È certo, che tutti gli investimenti siano meritevoli di impegno, sacrificio e dedizione. Ma cosa comporta tutta questa sfrenata corsa contro qualcosa che al di là di ogni sacrificio si arresta? Le statistiche parlano chiaro: i casi di suicidio aumentano, le figure di tutela e di supporto quanto riescono ad intervenire in questi casi? Il non riuscire ad affrontare questa condizione, porta ad una compromissione degna di considerazione e che può essere sottovalutata. Burnout significa bruciare, esaurire, scoppiare; con questo termine si è presto dato riferimento ad una risposta individuale e di una situazione lavorativa percepita come stressante e nella quale l’individuo non dispone di risorse e strategie comportamentali o cognitive adeguate a fronteggiarla. Questo secolo è afflitto dallo stress lavorativo, il fenomeno del burnout che può dare luogo ad un atteggiamento di indifferenza, malevolenza e di cinismo verso i destinatari della propria attività lavorativa è una sindrome multifattoriale ed è caratterizzata da un rapido decadimento delle risorse psicofisiche e da un peggioramento delle prestazioni professionali.
Il burnout può anche essere inteso come un meccanismo di difesa adottato dagli operatori per contrastare le condizioni di stress lavorativo determinato da un forte squilibrio tra richieste/esigenze lavorative e risorse disponibili. I lavoratori a rischio di burnout vengono definiti “fragili” ovvero sono quegli individui che hanno difficoltà nel definire i limiti tra il se e gli altri ed i confini funzionali tra la professione e la vita privata. Questa che è vera e propria patologia nell’attuale situazione economica può essere paragonata ad uno stato d’animo di sconforto depressivo rispetto le aspettative di vita futura che in questo momento storico “compensano” chi un lavoro ce l’ha e per il quale ci si ammala e l’individuo che si ammala per una ricerca compulsiva di un posto lavorativo che tarda ad arrivare.
Freudenberger intorno agli anni 70, richiama l’attenzione su una delle possibili manifestazioni dello stress lavorativo, introducendo il termine burnout che sta ad indicare una condizione di disagio rilevata tra i lavoratori impegnati nelle cosiddette professioni di aiuto specialmente nell’area socio-sanitaria. Si parla quindi di Infermieri, Medici, Psicologi, Psichiatri, Assistenti Sociali, persone sottoposte quindi ad un duplice stress, quello personale della propria esistenza e quello dell’utenza bisognosa di aiuto. Come si è potuto leggere, la sindrome da lavoro-correlato, crea nella globalità individuale della persona diverse fratture, le quali vanno oltre che ben considerate, studiate e approfondite a richiamare l’attenzione in cui attualmente noi tutti ci troviamo. La sindrome da burnout, e quindi da stress da lavoro-correlato, come è stato già ampiamente spiegato, riguarda le professioni d’aiuto, in particola modo. È già di per sé, un eufemismo. Ci si ammala per aiutare gli altri. Mai nulla di più vero. Rispetto questo punto, da tenere in considerazione una possibile “strategia d’infiltrazione” (lo Iacono, 1998), che potrebbe essere utile a non demolire l’integrità e l’identità del soggetto, in questo caso si intende identità di sostegno costruita da alcuni soggetti per sfuggire alla realtà. È importante mantenere una giusta distanza. Bisogna che l’individuo, riesca a mettersi in guardia, non si può essere operatori co-dipendenti, si potrebbe utilizzare il controllo come spostamento di ciò che si vuole tenere a bada attraverso la razionalità.
Un rispecchiamento che difende l’io spostando le proprie patologie su quelle evidenziate dal paziente, al quale si sta offrendo un servizio professionale, per quanto si possano proiettare sull’altro parti di sé vissute minacciose per la propria stabilità emotiva . Un possibile tentativo per ovviare a questa catena infinita? Altro dato molto importante che fa capolino, è lo stress da mancanza di lavoro. Rimane veramente difficile riuscire ad adattarsi e piegarsi a certi meccanismi innescati, che sembrano non trovare fine. L’individuo medio-adulto, che intraprende una carriera universitaria, nella quale investe, tempo e denaro, si troverà nella migliore delle ipotesi, a fare un lavoro che non appartiene alle proprie scelte passionali. Effettivamente, questo è nella migliore delle ipotesi. Perché il burnout, è sì una patologia, da lavoro-correlato, ma ciò che si evidenzia maggiormente negli ultimi tempi, è quanto questa sindrome stia prendendo piede in un parallelismo: burnout da lavoro non trovato. L’ansia (non patologica), stress, depressione, mancanza di autostima, sono nient’altro che i “frutti” del burnout, ma anche della precarietà lavorativa, della mancanza di stabilità per prospettive future. Ciò comporta e scatena delle vere e proprie patologie a se stanti alle quali non sempre l’individuo riesce a farne fronte. L’opinione pubblica, sociale deve essere smossa, rispetto a tale disagio, che non merita di essere più così tanto sottovalutato.