La comunicazione perfetta esiste. Ed è un litigio…
Stefano Benni
Il primo assioma della comunicazione dice: “E’ impossibile non comunicare!” anche attraverso uno sguardo comunichiamo… Tutto il nostro corpo parla, comunica, ci rileva e si rileva. Lo sguardo, il sorriso, il modo di camminare, di muovere le mani, di stare seduti, e così fino all’infinito, l’uomo comunica anche con i capelli. La Comunicazione umana costituisce un ambito di studio, così esteso e complesso, che nessuno può dirsene in pieno possesso. L’essere umano vive di significati, così come vive le relazioni, cioè, in realtà, le relazioni producono i significati qualificano le relazioni.
Dunque, l’uomo non può fare a meno della fitta rete di significati che elabora insieme ai suoi simili. Fin da piccolo, l’individuo è alla ricerca di un significato che possa dare valore alle cose e agli avvenimenti e che possa fornire delle spiegazioni accettabili sulle condotte altrui. La comunicazione è un’attività complessa che fa riferimento a una molteplicità di differenti sistemi di significazione e di segnalazione. La comunicazione Non Verbale, chiamata anche Comunicazione Extra-Linguistica, ha in se tutti quei processi comunicativi che vanno dalle qualità paralinguistiche della voce, alla mimica facciale, ai gesti, allo sguardo, alla prossemica… fino a giungere alla postura, all’abbigliamento e al trucco.
La comunicazione non verbale, è spontanea, è quella che rileva gli stati d’animo, poiché in maniera del tutto inconsapevole lascia trapelare le sue intenzioni ed è il linguaggio del corpo. Questo tipo, il linguaggio del corpo che è comunicativo, a differenza del linguaggio verbale dove vengono elaborate le parole dal nostro cervello e quindi sotto il nostro controllo, è trasmetto dal nostro sistema emotivo. Esso è comunemente frutto dell’Inconscio e dell’Istinto, per questa ragione è fuori dal nostro controllo. Pensiamo ad esempio a quando arrossiamo in viso per un senso di vergogna e ci sudano le mani, queste situazioni altro non è che espressione di un linguaggio incontrollabile nonostante lo sforzo. Ogni parte del nostro corpo parla di noi, prima del nostro parlare verbalmente. Nel “faccia a faccia” quotidiano, che alle volte può per svariati motivi risultarci anche urtante, la prima cosa che guardiamo in una persona è il Volto. Notiamo se gli occhi sono troppo piccoli o troppo grandi, come si muovono e se ci mostrano interesse nella conversazione. E interpretiamo ad esempio se il sorriso che l’altro ci rivolge è sforzato, sincero, imbarazzato… e così via.
All’interno dell’interazione sociale, i comportamenti della comunicazione non verbale assumono funzioni diverse, sia per chi li produce sia per chi li percepisce quindi li utilizza per interpretare i messaggi che essi intenderebbero comunicare.
La comunicazione non verbale possiede le seguenti funzioni:
- Caratterizzazione delle relazioni interpersonali
- Presentazione di sé
- Persuasione, dominanza potere e status
- Differenziazione individuale di personalità e di genere
- Espressione e riconoscimento delle emozioni
- Comunicazione degli atteggiamenti interpersonali
- Comunicazione non verbale nel linguaggio verbale
La voce trasmette numerose componenti di significato oltre alle parole. È impossibile, infatti, pronunciare una qualsiasi parola come libro o bicchiere senza una maggiore o minore partecipazione e senza qualche indicazione di interesse o disinteresse. Ciò che fa comprendere il concetto al nostro interlocutore è il tono, il ritmo e l’intensità dell’eloquio. Tornando al primo assioma della comunicazione, è il silenzio a meritare particolare attenzione. L’assenza di parola, costituisce un modo strategico di comunicazione e il suo significato varia dalle situazioni e reazioni. Il silenzio è uno strumento di comunicazione molto potente, data dalla sua ambiguità e la sua interpretazione molto legata ad altri segnali non verbali, al tipo di relazione alla situazione comunicativa e alla cultura di riferimento. I valori positivi o negativi del silenzio riguardano molti aspetti, ad esempio quello del legame affettivo, in cui il silenzio può unire due persone in una profonda condivisione come pure può separarli attraverso sentimenti di odio ed ostilità. L’aspetto valutativo in cui si può intendere consenso, approvazione o dissenso, l’aspetto rivelazione in cui si può rendere qualcosa oppure manifestare una barriera opaca in merito a una qualsiasi informazione. E ancora, il silenzio può avere un aspetto di attivazione, ovvero può indicare una forte concentrazione mentale o segnalare al contrario una dispersione mentale.
Il silenzio è un atto comunicativo associato a situazioni sociali. Per esempio, fra i “wolof” del Senegal il silenzio rappresenta una strategia comunicativa per assumere uno status sociale superiore nello scambio dei saluti: saluta per primo chi si percepisce di un livello sociale inferiore. Quando due persone si incontrano, e queste si ritengono di pari posizione, dopo un certo periodo di silenzio e un saluto ritualistico abbreviato, si chiedono reciprocamente conto delle ragioni per cui ciascuno non ha iniziato a salutare. In Nuova Zelanda fra i “maori” in una conversazione hanno diritto di parola le persone che hanno maggiore potere sociale, e in silenzio rimangono le persone che invece, in un situazione di minore importanza sociale, portano rispetto e deferenza. Situazioni analoghe succedono anche nelle nostre culture occidentali, dove in un’azienda. In una scuola, in un partito… parla chi a maggiore competenza e peso decisionale… ma è notevolmente un concetto differente, in tutti i SENSI.
Il ruolo fondamentale è anche quello di mantenere e rinnovare le relazioni nel corso del tempo, i segnali non verbali vengono scambiati tra due persone durante le interazioni con la funzione di rafforzare e/o confermare la relazione stessa. Il comportamento non verbale possiede un canale dotato di maggiore efficacia comunicativa. “Imparare” ad interpretare “empaticamente” chi ci è di fronte, chi ci parla e ci trasmette il proprio stato d’animo al di la del suo parlare verbale, permette di entrare nell’altro, oltre che a soffermarsi sulle proprie modalità, anche quelle che spesso non sono colte “per colpa” delle convenzioni sociali alle quali poi tutti noi apparteniamo.