Poche malattie sono state tanto studiate e discusse nel corso degli ultimi anni quanto l’anoressia mentale. L’anoressia nervosa insieme alla bulimia, è uno dei più importanti disturbi del comportamento alimentare detti anche disturbi alimentari psicogeni. La persona anoressica presenta il rifiuto del cibo e la paura ossessiva di ingrassare. Coinvolge nella sua evoluzione numerose funzioni psicologiche, neuroendocrine, ormonali e metaboliche. Spesso si associa durante l’evoluzione del decorso a depressione, ansia, assunzione di sostanze e disturbi di personalità.
Indubbiamente i fattori culturali e sociali premono. L’entrata della donna nella professione quindi in carriera ( che contrasta la precedente e atavica tradizione femminile di incultura, sottomissione, passività ai compiti sessuali e materni come unica valorizzazione possibile), unitamente all’aumentato narcisismo femminile, fomentato dalla moda, dai mezzi visivi, dall’aumentata ricchezza. Oggi, in sostanza si chiede alla donna di essere bella, elegante e ben tenuta, di dedicare molto tempo alle cure della persona, questo però alla stesso tempo non le deve impedire di competere intellettualmente con gli uomini e con le altre donne, di far carriera, e anche di innamorarsi romanticamente di un uomo, di essere tenere e dolce con lui, di sposarlo, e di rappresentare il tipo ideale di moglie-amante-madre.
Da un eccesso all’altro! Appare difatti evidente il contrasto fra tante e inconciliabili richieste, almeno teoriche, che giungono in competizione, e che mettono a dura prova specialmente in una fase di crescita adolescenziale la presentazione alla scena sociale. Se poi si aggiungono l’esterno patogeno come la moda: essere magre, sofisticate. La diffusione e la propaganda di diete e farmaci dimagranti, il parlare in continuazione in famiglia o nell’amicizia di livelli calorici e di peso. La realtà è che oggi l’ambiente culturale non accetta la ragazza grassa, ed è destinata a essere solitarie e rifiutata. Una pressione sociale e psicologica agente in senso inibitorio, tale da bloccare il riconoscimento percettivo degli stimoli della fame, sarebbe stata supposta e dimostrata da Stunkard in una interessante ricerca preliminare : “l’obesità e il diniego della fame”.
Stunkard comunicò i risultati di una sua ricerca su pazienti in sovrappeso e non diretta ad accertare il rapporto tra mobilità gastrica e senso di fame durante le contrazioni nei due tipi di soggetti studiati. Il gruppo di pazienti non in sovrappeso denunciava con esattezza sensazione di fame in assenza delle controindicazioni, uguali si comportavano i soggetti in sovrappeso di sesso maschile. Il gruppo delle donne in sovrappeso, al contrario spesso non denunciava la sensazione di fame durante le contrazioni gastriche. Questo mancato avvertimento della sensazione di fame comprendeva anche assenza di sensazione di vuoto epigastrico e di desiderio di mangiare, caratteristica invece fondamentale dell’esperienza di fame fra le donne non in sovrappeso. Che la negazione della fame poteva derivare da una specifica difficoltà alla discriminazione degli stimoli in presenza di crampi gastrici è suggerita dall’osservazione che non v’era alcune differenza fra donne in sovrappeso e non nel riferire assenza di fame in stato di quiescenza gastrica.
I soggetti in sovrappeso manifestarono “la sindrome da iperfagia notturna” descritta da Stunker per la prima volta, caratterizzata da inappetenza mattutina, insonnia e iperfagia notturna. Essi mostrarono anche una maggiore frequenza del diniego della fame in presenza di motilità gastrica, che non i soggetti obesi esenti da questa sindrome. Stunkard avanzò due ipotesi, la prima è che la sensazione del senso di fame dovrebbe avvenire soltanto nei soggetti in preda a conflitti psicologici in merito al cibarsi, l’altra è che questi soggetti subiscono intense pressioni psichiche e sociali in merito al loro cibarsi. Il fatto che i maschi in sovrappeso riconoscano le contrazioni gastriche conferma l’ipotesi di Stunkard: i maschi in sovrappeso non sono esposti al ridicolo o al rifiuto da parte della società. l’ipotesi di Stunkard fu incoraggiata da un settore del tutto inatteso. Due donne, soggette a intensi conflitti e a gravi pressioni sociali in merito al cibarsi mostrarono in accordo all’ipotesi sopra citata negazione di senso di fame in presenza di mobilità gastrica. Queste donne però non erano in sovrappeso. Ma sofferenti di anoressia mentale. Ricerche queste, che avvicinano il problema dell’anoressia mentale a quello dell’obesità psicogena. La diminuzione del peso corporeo costituisce l’elemento dominante del quadro clinico. Varia da caso a caso, e finisce per raggiungere limiti incredibilmente bassi. Veri e propri scheletri rivestiti di sola pelle. I depositi adiposi scompaiono e le rotondità caratteristiche della figura femminile non sono più riconoscibili sostituiti da angolosità.
È noto che nell’età adolescenziale alcuni fattori assumano particolare rilevanza, i quali restano congiunti e interdipendenti. L’adolescente infatti, per la prima volta rivolge l’attenzione su se stesso, e scopre la propria interiorità psichica, si rivolge per la prima volta al suo Io, il quale si rivela nella sua unicità e nella sua singolarità e nello stesso tempo esperisce in maniera del tutto nuova e con smarrimento il proprio corpo e la specificità del proprio sesso. È il momento dell’individuazione in cui ci si confronta, fase di trapasso e transizione. In questa fase le reazioni ambientali sfavorevoli, come critiche e commenti sull’aspetto fisico possono suscitare reazioni sproporzionate, che possono rappresentare un ‘esperienza di rottura. Vi è lo scontento di sé, il disagio e la paura. “c’è qualcosa che non va in me?” La malattia inizia solitamente in forma passiva, cioè con il semplice rifiuto del cibo, raramente la limitazione è drastica fin dall’inizio. Tutto ha inizio in maniera subdola, che per qualche tempo è rappresentata da mancanza di appetito, senso di gonfiore, dolori di stomaco, digestioni difficili, precoce senso di sazietà, nausea, oppure restrizione dell’appetito a pochi cibi, generalmente ai dolciumi, questo anche per passare inosservate. I grassi vengono regolarmente evitati, l’ordine del normale ritmo alimentare viene sovvertito.
Non vengono osservati i pasti, spizzicano qui e la qualche boccone durante la giornata. Più tardi si complica in forma attiva: assunzione di dosi enormi di purganti, clisteri, vomiti ripetuti, prima volontariamente e penosi poi automatici. Vi è l’impulso irrefrenabile a muoversi, a fare ginnastica di nascosto, con esercizi spesso complicati e cervellotici, almeno all’inizio. Alcune ammalate raggiungono un vero e proprio “fachirismo” con resistenza incredibile ad ogni sensazione sgradevole: al freddo, alla fatica, al sonno. Non parlano mai del loro cibarsi, non si sa mai quando è stato fatto l’ultimo pasto. Il cibo per le persone anoressiche è fatto di importantissima e acuta osservazione. Non è argomento sgradevole di conversazione se non si tratta del “loro cibo”. È frequente infatti l’interesse per la cucina, la conoscenza di molte ricette, libri di cucina e liste di ristoranti, l’hobby di cucinare per gli altri. Anche durante la malattia. Purtroppo come in tutte le cose non vi è una costante via di mezzo, salvaguardare il proprio benessere fisico, psicologico e di salute non significa entrare in una taglia 38. L’anoressia è una lotta contro la fame e il cibo, viene ammirato ciò che viene evitato con estremo timore.
La cura con le pazienti anoressiche è un impresa non semplice. Il percorso e la ristrutturazione frammentata sono spesso frutto di continue ricadute, tentati suicidi o morte naturale. È una delle malattie che più di altre è associata al giudizio sociale, all’apparenza, ad un ruolo ad un’immagine che dev’essere e che spesso comunque arriva a non essere. Dovrebbe essere abbattuta sul tempo oltre che in tempo poi… in quanto questa una volta preso il via viene negata fino all’ultimo. Nei paesi industrializzati come l’ Italia, 8-10 ragazze su 100 tra i 12 e i 25 anni di età soffrono di disturbi del comportamento alimentare, di queste 1-2 nelle forme più gravi. In Italia fanno tre milioni di persone, e nel 90% dei casi si tratta di donne.