Chili di cose non trovate, indirizzi virtuali sbagliati, finestre che si aprono per errore o forse portoni che si erano aperti, chiusa una porta dovevano aprirsi loro, in uno squallido gioco di matrioske di infissi virtuali. Chiamasi speranze. Appigli, appigli non trovati, quando è ancora impossibile definirli appigli e impossibile dimenticare. Fiducia, non lì dove deve stare appesa ai bei ricordi, alle forme delle persone più che al loro contenuto. Calore non trovato, ossa fredde che spostano polvere tra quartieri ignari e gente sempre troppo distratta. C’è che ci metti tutto l’amore e ti ritorna un 404 sull’Internet Explorer dei sogni. L’utente, il navigatore, l’appuntamento fisso da lei chiamato… è una maledizione questa di dedicare le energie, gli sforzi sovrumani a imprese fallimentari. Certi numeri di telefono non li troverai mai o non squilleranno, certi mari non si devono prendere e basta, certi appuntamenti te li puoi solo sognare con l’agenda aperta fissa sul giorno delle belle speranze. Siamo così, volubili come le stelle, al posto giusto che sarà anche sempre uno sbagliato, ci mostriamo a tempo e solo per qualcuno e quando smettiamo davvero di brillare lo decidiamo noi. E non ci accendiamo più. C’è chi starà con il naso all’insù a cercarci mentre noi saremo in un altro cielo, per altre teste curiose e occhi pieni di speranza. Escluderemo sempre qualcuno, faremo del male a qualcuno. Ma da qualche parte bisogna pur essere. Magari via.
Non funzionano le strade più veloci, non funzionano le stagionature, con l’amore non funziona niente se non può funzionare. I conti tornano sempre e c’è chi accumula resi da una vita. Solo che qualche volta ti ritorna un 404, una pagina bianca come il diavolo di ghiaccio a lastre che ti nasconde il cuore. E noi lo sappiamo, lo sentiamo, che abbiamo cliccato su una specie di futuro sulla fiducia ma lo ignoriamo volutamente. Siamo come il giocatore incallito alle slot machine che ha imparato le sue probabilità di perdita ma si concentra solo su quelle di vincita. Ti ritorna tutto quello che non vuoi, ti ritorna niente e provi un altro giro, che tanto se hai i soldi per uno ce li hai anche per due, che tanto a perdere ci hai fatto l’abitudine e quando vinci ti sembra Domenica e primo dell’anno insieme.
Ci sarebbe da regolarsi, da rinunciare al rischio. Ci sarebbe da smettere di cercare le cose che ci mancano perché non è l’unico sistema per trovare. Ci sarebbe da augurare i portoni aperti agli altri e vivere belli chiusi, aprire solo al pony pizza. Da accettare le promesse come i pacchi della Bartolini con su scritto “Fragile”, con riserva, e di smettere di credersi perché ci raccontiamo una bella fila di balle solo per compiacerci e stare meglio, solo per finire su qualcuno o finire qualcosa.
Se ti dirò “ti amo” sarà quasi uno sbaglio, perché le cose ufficiali mi terrorizzano. Ma sarà giusto, inevitabile, gratuito senza ricevute in cambio, e non avrà la pretesa di essere eterno come i libri che leggi. Sarà un salto nel vuoto con tutta la paura del mondo, con tutta l’insicurezza di non saper fare abbastanza e infine l’impreparazione di tremare davanti a una pagina 404, bianca come il ghiaccio a lastre che ho scalfito via dal cuore. Il “ti amo” mi spoglierà, mi renderà vulnerabile molto più di quello che ho calcolato e anche più sicuro di quel che sogno. Con le mani sulle mani, con il sudore tipico di quando stai in sospeso e non ti va bene niente, con le pupille piene di punti interrogativi e i frequenti abbagli aspetterò, da bravo in fila un tuo gesto che mi restituisca la dimensione di noi. O troppo presto, o troppo tardi, o al troppo momento giusto.
Perché in certi momenti sai che se non ti torna indietro un 404 ti sei risparmiato un giro su ‘sta vita e sai che da lì in poi sarà tutto un troppo, un felice troppo incollato a prova di strappo, a prova di noi.