Quel che resta dopo ci aspetta seduto, a gambe incrociate, su un comodo cumulo di promesse gettate dalla finestra. Vorrei poterti chiedere scusa per ciò che non sono stato, per la forza che non ho trovato, ma non lo farò. Me ne vado non andandomene da te, ma soltanto cercando in me stesso la forza di riprovarci. A vivere, che è la cosa più difficile del mondo. Ad amarti sotto mentite spoglie, ma non nella menzogna, come se ti amassi da lontano e vegliassi su di te, oppure da vicino, rinascendo in un’altra vita. Sì. Ti amo ancora così tanto che vorrei amarti anche come un padre, vederti nascere dopo nove mesi bruciati ad immaginarti, ed amarti di nuovo e davvero, per amarti in modo diverso, cambiando la mia faccia, non avendo oppressi nel petto questi anni insieme, meravigliosi e ormai finiti. Vorrei che ora le parole andassero lentamente, dando a tutte il giusto fiato, ripercorrendo tutto nel corretto ordine, dall’ inizio alla fine.
E ti ho incontrata perché il destino ha voluto così. E se l’ha voluto lui, non ci puoi mica scappare.
Prima ero invaghito, tu guardavi altrove. Poi mi stavo innamorando, e tu amavi lui.
Finchè una sera ti sei arresa ad un bacio e sei tornata subito a guardare altrove.
In quel momento ti dimenticai, come si dimentica il finale di un film che ti è piaciuto tantissimo, che proprio non vorresti dimenticarlo eppure capita. Ma della lontananza ci soffri, sembra che ci stai per morire ma poi ti riprendi. Come fosse l’altalena di un cuore senza battiti o di uno che ne ha troppi. E tutto questo in pochi mesi. Siamo nati che già le cose erano cambiate, da come erano partite. Ma non credo siamo stati noi a cambiare, no. E questo è un concetto strano da capire. Non cambiamo mai noi, perché sotto sotto, anche se poi non così tanto, dentro di noi possediamo già il seme del cambiamento che fa da nutrizione al nostro continuo presente finchè si esaurisce e il seme diventa pianta, e noi incredibilmente frutto.
Io e te siamo diventati il frutto più dolce di martedì, lo ricordo bene. Dopo che hai lasciato quel “lui” troppo scomodo tra noi, sei tornata da me.
-cosa hai pensato quando ti ho scritto che l’avevo lasciato?- mi avresti chiesto mesi dopo.
-che stavi tornando da me- ti avrei risposto io.
Sì perché tu da me stavi solo tornando, persa prima in chissà quante vite, da me stavi tornando perché non poteva essere altrimenti, perché da me c’eri sempre stata senza saperlo.
E come frutto maturammo, raccontandoci quello che fino a quel momento non sapevamo. La tua estate della maturità, il mio lavoro precario, e poi cose più banali, fino ai genitori e parenti tutti, anche quelli alla lontana, che hai ma non conosci sul serio. Come da quel momento io conoscevo te. Sul serio.
Sul divano facemmo l’amore. E lì non c’era proprio niente da spiegare o da capire. Ci avevamo, ci concatenavamo, ci eternavamo.
E poi giorni, Natali, pranzi.
Fughe, mari e pinete.
Ma tutte le storie d’amore sono uguali, cambiano solo i protagonisti.
Ecco ora usciamo di scena, figuranti di noi stessi, abbandoniamo un palco senza spettatori.
Vedo i tuoi occhi scuri conficcati nei miei.
Li vedo chiaramente anche se non ci sono, li vedo comunque, e sono certo che questa folle convinzione che tu mi veda a tua volta non è solo vanità.
Il nostro amore non finisce.
L’ho capito quando tu, un anno o forse più fa, hai sbattuto forte la mano sul tavolo dicendo che non potevi capirmi, che un tradimento non si capisce, e ce l’avevi proprio scritto negli occhi l’odio che avevi. E l’odio è il figlio illegittimo di chi si ama e muore dentro, mentre tu uscivi e stavi per sbattere la porta della nostra casa – forte di spiriti quieti- ed io ti ho voltata e ho urlato cose che non ricordo, perché bastava solo l’urlo, bastava solo che il frutto troppo maturo cadesse, per rimpiangere la pianta tanto amata.
Poi il perdono ci ha salvati. Abbiamo amato talmente tanto noi stessi che ci siamo perdonati gli sbagli e i nostri vizi, senza bisogno di nominare qualcuno, noi due ancora al centro del nostro palcoscenico, teatranti senza copione ma con la voglia di intrattenerci, perché a luce spenta non avrebbe più avuto senso continuare.
Quel Capodanno ti chiesi di sposarmi.
Era giusto un anno fa.
Sembrava un semplice passo, un movimento naturale della gamba posteriore che superava quella davanti.
Ma ora non si può tornare indietro, ora che mi manchi e non te lo dirò, ora che gridi e non posso ascoltarti.
Eccoti.
Sei in cucina che tamburelli con le dita sulla finestra. Guardi fuori ma non guardi. Ti esplode dentro un uragano. Amore mio.
Metti da parte le mie cose, stringi gelosa le tue, ora che hai smesso di cercare sul cuscino del salotto il mio profumo.
Ci sono ancora i miei jeans buttati sulla sedia di fianco al letto. Sai bene che non verrò a riprendermeli. E tu fino a quando li terrai lì senza toccarli? Quanto ti ci vorrà per innamorarti ancora? Perché so che lo farai. Lo so e lo accetterò come tu accetterai questa fine.
Torni in cucina e spegni la caffettiera che ha già vomitato il caffè uscito precocemente.
A guardarla ora, la nostra casa è davvero bella.
E tu al suo centro ne sei la perfezione.
Ma ora tutto cambia, tutto è cambiato dal primo ed unico giorno della fine, quando il destino, sempre lui, ha chiuso la saracinesca e ci ha chiusi in gabbia.
C’è chi muore bestemmiando una vita contro un cancro che lo divora e c’è a chi basta un infarto senza sapere perché. Anche a ventotto anni.
Ritroverò la forza in ciò che non sono più, in ciò che ho il coraggio di essere ancora. Se rinascerò mai, amore mio, sarà in un’altra vita, e sarò realmente tuo padre, e tu sarai magari mio figlio o mia figlia, chi può dirlo, o magari rinascerò domani, e diventerò il tuo migliore amico, o ancora tua figlia, avuta da qualcuno che prenderà il mio posto e occuperà il nostro divano quando litigherete. E litigheremo anche noi, se non mi farai uscire il sabato sera perché ho preso un quattro di matematica, e chissà se sbatterai ancora la mano su quel tavolo, intanto non me ne ricorderò.
Perché forse anche questa vita che mi si è appena conclusa era una seconda possibilità per amarti, perché se sei la mia anima gemella saremo insieme sempre. E tutto cambierà. Ancora, e non ce ne renderemo conto, quando si accenderà un’altra luce sul palcoscenico e noi avremo un nuovo personaggio da far vivere, come un frutto da maturare, da fargli prendere acqua e sole a sufficienza.
Cambierà il sorriso nei tuoi occhi, ma sono certo che sarò lì con te.
A godermi lo spettacolo.
Ancora una volta.
Amore mio.
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