La fragranza del caffè, la mia tazza calda tra le mani, il rumore dei granelli di zucchero che scivolano sul freddo acciaio del cucchiaino. Che voi siate sul vostro guanciale, o saltiate su qualche tavolo da disco dance, beh qui inizia la mia giornata. E ci siete voi che leggete, tardi o prima. Voi che cambiate i miei sorrisi, tardi o prima. Voi, che accennate un grazie per questo mio scrivere, dietro o davanti alle quinte, grazie che pesa sulle sue mie tasche come piombo. Come il piombo più bello del mondo ad alzare i miei piedi da terra. Non mi perdo, non sogno, non scrivo in tutto questo silenzio per niente. Quindi ci siamo. I più affezionati sapranno che questo blog, pagina non vuole essere un punto di riferimento su nulla, ma che è solo un puntino sparso d’inchiostro simpatico che devi apprezzare quando c’è, se c’è. La libertà di espressione che un mezzo tecnologico è stato in grado di offrirci per stare un po’insieme senza chiederci prima chi siamo. Pezzi di vita che ci siamo riservati dove ognuno può dire la sua o tacere per disinteresse. A pensarci questo è fantastico, se ricordiamo che non troppo tempo fa delle persone morivano, non per aver scritto qualcosa di proprio, ma semplicemente per averlo copiato e stampato (li chiamavano eretici).
Ora la conoscenza per la quale quegli uomini si son battuti, si è resa disponibile ai nostri occhi. Un ta dà e il sipario si è aperto: possiamo imparare qualsiasi cosa da qualsiasi disciplina proveniente da qualsiasi luogo. Di conseguenza, e grazie anche alla rete, le conoscenze si sono riversate perlopiù beneficamente sulle nostre vite. Sappiamo per esempio come combattere una malattia ancora mesi prima che arrivi nelle nostre vicinanze, sappiamo come cucinare un piatto thailandese, sappiamo il segno zodiacale di Tom Cruise che non ci cambia la vita è vero la vita, possiamo dare un numero alle vittime giornaliere della guerra in Afghanistan, possiamo vedere che grazie a quella guerra qualcuno prende un Nobel per la pace (piccola provocazione) sappiamo come evitare il traffico delle tredici, sappiamo come guardare in faccia una persona per vedere se mente. Io di guide, di recensioni, di consigli non ne ho, mi dispiace. Grazie a Dio sono come voi. Mentre tutti dicono di sapere per te cosa è giusto fare, come farlo, quando farlo. Ti dicono anche quanto ti costerà, e staranno a guardare la tua faccia per capire se darai loro la mancia dal resto che ti rimane. C’è solo una cosa che nessuno sa davvero, una cosa sulla quale o si tace o si parla al limite del paradossale: come si fa a vivere. Quelli sono comunemente reputati affari tuoi. L’importante è che lo fai senza disturbare e paghi i conti senza ritardi. Fossi un bambino mi avvicinerei a mio papà, gli tirerei la giacca e glielo chiederei. Perché di risposte ne esistono tante, ma sono tutte difficili. Credo toglierei le parole al papà. Qui leggerete sempre retorica più logica più emozioni a offrire brandelli di pensieri su cui camminare per conto proprio. Speranze e sogni. Raffiche e terremoti interni diventati nuvolette esterne. E dovete perdonarmi se della vita parlo come uno che è più bravo a scrivere che a vivere. Ma così è. Quella vita che inizia a pungere quando il puntino della Tv torna bianco in casa torna silenzio.
C’è un pensiero su cui giro su da tanto tempo, davvero da tanto. L’essere soli. E il sentirsi soli. So che confondiamo spesso le cose.
Qualcuno è davvero solo. Ma non siamo noi. Qualcuno si sente solo, e forse siamo noi. A corrente alternata. Tutti questi chili di conoscenza, tutti questi scaffali di librerie a portata di clic, tutte queste applicazioni scientifiche risultanti dalla conoscenza non ci hanno dato una mano in questo. Non è vero? Non ci sentiamo meno soli perché ora abbiamo un Ipod che si collega automaticamente ad un sensore nelle nostre scarpe contandoci i passi e le calorie che bruciamo mentre in corsa ascoltiamo la musica. Come non ci sentiamo meno soli da dopo l’invenzione del telefono.
Ognuno ha il diritto di rimanere o di andare via, come di perdersi o di trovare, di aprire gli occhi o di chiuderli su qualcosa, di andare contromano. Ognuno si sceglie il modo e il verso. Non fa che andare in fondo. Non è questo che farà di noi dei soli. E anche se non ci sentiamo di accompagnarla più alla porta, se la voce si ferma ad un citofono, se ce la prendiamo con un rosso di un viaggio finito prima, se il frigo lo riempiamo noi, se la coperta l’aggiustiamo vicino ancora noi, non siamo per forza soli. È vero, le foto sono di ieri ma viste da una stanza in solitudine sembrano di anni. Le ferite che ti racconti quando vi incontrate bruciano ogni volta. La polvere sulla casa immobile che avevi pulito per me non è polvere magica. E mi ricopri, la polvere che chiudo qui sei tu. Un viso stanco e tirato. Forse lotti per portare a casa il pane perché lui che ti ha lasciato per una più giovane non lo farà. Oppure vivi con tua moglie e non la conosci più. Ti giri nel letto e l’ultimo attimo in cui l’hai accesa non te lo ricordi più. Se avete perso la corrente. Assenze. Amore, amore della mia vita. Guardi tuo figlio, tuo nipote sparire e negarsi. Scegliere solo le feste per stare con i regali. Con tanti amici. Ma piangere come te di nascosto per questa vita senza sconti. E distratto seguire le mode senza sapere cosa volere.
Ti guardi allo specchio e ti dici che sei solo. E ti dedichi tutta questa importanza: gli altri mi hanno lasciato. Ma la solitudine è un’importanza che nessuno che ti vuole bene mai ti darà. Solo noi stessi ne siamo capaci. Allora cerchi di vedere se c’è qualcuno che si prende cura del tuo sorriso perso. Qualcuno ad aspettare le tue parole e ciò che nascondono. Qualcuno pronto a prendere ogni tuo sbaglio, rinchiuderlo in una mano facendolo diventare di ieri.
Qualcuno che ti faccia sparire da tutti con le braccia. Un pensiero. O che ti faccia vedere da tutti. Una parola.
Gli uomini sono tutti uguali. Gli uomini non si sentono tutti uguali, ed è un guaio. Tranne che quando sono in disgrazia. Guardali, gettano via le maschere, tolgono anche il profumo di marca, e si rivestono semplici semplici come tutti gli altri se li puoi salvare. Farebbero di tutto. Faremmo di tutto. Ma proprio in questo, in cui dovremmo sentirci uguali, soli, nelle nostre vite parallele siamo diversi. E c’è allora chi decide di togliere delle ore di lavoro dalla vita per stare di più con la propria famiglia come ho sentito da qualche madre in radio. Chi quando pianifica le proprie attività ricorda che il tempo da dedicare alle persone deve restare superiore al tempo da dedicare alle cose. E chi invece il tempo lo deve occupare ad oltranza per non pensare. Di sentirsi solo, di lasciare solo qualcuno. Allora lavoro, palestra, circolo, estetista, uno schermo grande o piccolo, una corsa a Milano, un viaggio a Dubai nel weekend zeppo di impegni, una borsa e un taglio, un regalo nuovo alla settimana. Questi sono i veri soli. Che lottano contro se stessi e falliscono ogni volta. Che vivono di vizi fin tanto che li appagano, perché sono le uniche cose ad entusiasmarli. Che hanno paura di chiedere aiuto perché non saprebbero a chi chiedere e quando non reggono più si rinchiudono in bagno, lasciano un biglietto e si sparano. O scelgono un sabato sera e un’autostrada. E nessuno se n’è accorto. Solo qualche fiore, qualche proiettile, qualche prete, qualche parente.
Questi sono i veri soli. E per loro noi non esisteremo mai. Noi? Noi proveremo a raggiungerci, lo sai. Perché non abbiamo paura di incrociarci a testa alta con l’onore degli errori fatti e disfatti e a raccontarci. Noi proveremo a stimare lo sforzo che facciamo a vicenda per non lasciare indietro nessuno. Proveremo rispetto per chi ha trovato e per chi ancora cerca. E quando stiamo dando, a chi a cosa, e come e quando, sapete è come se ci siamo già raggiunti. Non siamo soli.