Tengo su questo blog con le mie storie. Cercate, inventate, quasi per magia realizzate. Un briciolo, quel qualcosa che di me poi somiglia a te. Lascio poi che anche le poesie parlino, sottovoce, dei gusti, dei profumi, sopratutto dei colori che ho sentito vivendo. Quanti. Che ho strappato al cielo e alla terra e al dolore. Lascio che le parole finiscano infine sotto gli occhi di gente che non c’è. Come te.
Oggi niente storie o poesie, giri di parole di personaggi. Parlerò, e davvero raramente lo faccio, parlerò di me e di questo stupido manifesto del coraggio che mi sono appiccicato da giorni ormai. Ma di cosa hai paura oggi? Ma quanto hai paura oggi? Me lo dirai, lo vorrei sapere. Ecco,io l’ho rubata follemente. La paura. Alla vita. E sarà la mia prossima catastrofe.
Ci sei tu amico che non conosco, che lavori in fabbrica tutto il giorno, che hai paura di non riuscire a finire il mese perchè non pensavi proprio che il prezzo di tutte quelle piccole cose per i tuoi bambini fosse così alto. E tu che aspetti la pensione, dopo una vita di sudore che hai dato al tuo paese, e annaspi fino a quel giorno dell’addebito sul conto, che manco ce lo volevi un conto, hai paura di dover chiedere a tua sorella i soldi per la bolletta. E mangi il pane di avant’ieri. Perchè ora vale anche quello. Ci siete voi, cassaintegrati dissillusi da qualcuno che non vi ha mai voluto capire, con promesse che schiacciano come sassi su una coscienza che deve mantenere una famiglia. Ci sei tu che rubi, un po’ perchè non sai come fare a tirare avanti, un po’ perchè è l’unica cosa che ti hanno insegnato nel quartiere dove sei cresciuto, e hai paura di essere beccato un giorno di questi, ma non ci credi perchè sei svelto. Eppure ti guardi a destra e a sinistra. E alla sirena ti irrigidisci. Paura. Scusate se non faccio nomi, c’è il signor S. che ha paura di morire, sta perdendo le forze ed il cancro si sta mangiando le cellule buone rimaste alla velocità del pensiero. E molti come lui si son visti dimagrire, perdere i capelli per la chemio, e si son sentiti dire che ormai era troppo tardi. Paura.
C’è chi ha paura di non essere nessuno, di non fare abbastanza scalini in questa dannata vita come se non fossero mai abbastanza e ci si debba fermare solo dopo aver raggiunto il gradino superiore a quello del vicino. C’è chi ha paura di chiudere gli occhi e sognare. Perchè ha capito che ogni sogno è un dubbio. E un dubbio è forse una bugia. E ancora, ogni bugia è un dolore. Ci sei tu che hai paura di tutti i soldi spesi per le elezioni politiche che ci porteranno al punto di partenza, all’ultimo posto del convoglio, senza orgoglio. Ci sei tu, nella tua gonna rossa con spiccata intelligenza, preparata a puntino in biologia molecolare, che ha paura di non superare l’esame perchè eri così stanca di quelle menate che non sei andata al letto con il professore di turno. Ma la retta non la paga papà.
C’è chi aspetta che la procura arrivi al suo incartamento e decida il suo futuro, quello di suo figlio, suo padre, sua madre, suo fratello, sorella. C’è chi ha paura di perdere tutto quello che veste, orna, parcheggia, ostenta, spende. Chi ha paura di perdere la dignità agli occhi di chi non ha mai afferrato il concetto di diversità. E questo tipo di occhi qui in giro sono parecchi. Dovrebbero organizzare delle visite oculistiche mentali specializzate a iosa. Chi ha paura di essere considerato ladro e maleducato perchè è romeno e vive in Italia senza un lavoro stabile, con la faccia scura e sospettosa e quel nome che è già difficile pronunciare. C’è chi ha ancora paura di perdere la famiglia, e non solo la foto nel salotto. Ma quella che respira sotto lo stesso cielo il fine settimana, che ricorda lo stesso sapore delle labbra da dieci anni e si commuove alle prime foto fatte insieme. La famiglia che sa tutto sulla famiglia. Chi ha paura di perdere la casa perchè truffato ed è finita all’asta, o solo chi a Roma casa non ne ha e teme di perdere per un’ingiunzione del sindaco uno spiazzo per dormire sotto le stelle.
Poi tu, hai paura di perdere un’amicizia, per un passo indietro fatto. Un difetto. Uno schiaffo. E poi le distanze, solo i bruciori di stomaco. Ma ci tenevi, vorresti solo gridarlo ora che non si può più. Ora che stringi i pugni. Ci sono i soli, i pazzi, che hanno paura di perdersi in questa vita troppo grande, che offre troppe possibilità, ma in controsenso nessuna poche percorribili. Ho visto un uomo qualche giorno fa che ha avuto paura di piangere al funerale di suo padre. L’ho fatto io per lui. Stringeva le mandibole davanti ai suoi figli e stava dritto. C’è che mi sembra che ognuno ha le sue paure. E ci lotta. O le ignora. O si fa inghiottire. C’è chi ha paura che l’ago torni sulla sua pelle, che il troppo alcool torni a bruciare le notti sole, chi ha paura di portare le sue cose al reparto di psichiatria e vedere il suo mondo da una finestra con le mani legate. Ma non ci sono colpe in lui. In quei occhi che vorrebbero solo non essere disperati.
C’è chi ha paura di dire quel che pensa. Perchè poi quell’attimo devi spiegarlo prima fino in fondo a te stesso e poi agli altri, e devi essere convinto davvero. Potresti far nascere, uccidere, costruire, spezzare. E sollevare le conseguenze a braccia forti. Querele, strade buie, vetri spezzati di finestrini, spari in centro di Palermo, minacce, foto a metà, urla dalla stessa casa tua, gelosie dei vicini, schiaffi, improperi, punizioni, ricatti. Siamo tutti uguali. Paure.
E ci sono anche io. La pelle così morbida che se parli forte sanguina. Che prendo tutto quello che mi arriva e lo ributto indietro per stare foglia attaccata al ramo. Mentre l’autunno casca. E quello che c’è dentro che sia amore o dolore non ha senso. Un libro scritto a metà al suo scrittore. E tutto è resto. Tutto passa. Posti, persone, legami. Tutto torna nei ricordi con la nostalgia della pioggia. Alla fine della gola quando sarai solo.
Ci ho pensato lentamente e per molto tempo: di cosa ho paura davvero. Di due cose solo. Sono il manifesto della stupidità del mio coraggio lo ammetto: la paura non della morte, un attimo e sei via e qualcuno piangerà per te, ma la morte per sofferenza. Centellinata. Penosa, per te e per gli altri. Sfiancante. Vedere sfiorire i giorni aspettando con lacrime il secondo finale, che tutti vorrebbero prolungare col viso tirato. E la seconda cosa: dire di nuovo <<ti amo>>. Lascia che sia, e poi, via come vorrei.