Vorrei morire tra le tue braccia. Suvvia, chi é cosí stupido da voler morire? Sono cose che si dicono improvvisando, sono cose che escono per sbaglio dal filtro, che le labbra non frenano e le coscienze non credono. Tranne che poi tornare a credere. Siamo a compartimenti stagni.
– Sono innamorato follemente di te.
– Ma se non mi conosci?
– Infatti sono innamorato di tutto quello che non conosco di te e che un giorno sapró. Quel mistero, le intenzioni, le pieghe dell´anima, io le amo, devo solo conoscerle.
Tu non puoi farmi bene. Tu vuoi, non sai. Tu non puoi farmi bene.
– Chiudi gli occhi.
– Spero. Credo.
Tutto finirá, con la forza del niente. E torneremo noi stessi. Diversi. E vorremmo pronunciare anche solo i nostri nomi ma non potremo, non riusciremo. E saremo lí bellissimi, con un plastico di Vespa, sotto i riflettori, ma infangati. Saremo persi e incompresi da tale bellezza che la rifiuteremo. Perché la bellezza non é tutto. Neanche quella dell´anima. La guardo. La mia pastiglia, incapace di sciogliersi. La felicitá, o un surrogato. Porta le gonna e hai fianchi stretti. Non si piace tranne che per il fondoschiena e tira avanti, cerca come tutti la sua strada, forse in ritardo. La guardo e mi dico “mia”. E andrá tutto bene. Fino alla fine. Ci trascineremo feriti e ci taglieremo e ci odieremo. Tutto normale.
– Ho bisogno di te, le dico.
Mi guarda con gli occhi di una bambina. Quello sguardo che non finisce da nessuna parte, tranne che sul cuore. Ha capito che devo guarire. Da molte cose. E lei é necessaria, indispensabile no, mi ripeto no. Ci son cose destinate a finire prima di iniziare. Solo che non ci credi.
– Anch´io.
Basta che mi accarezzi i sogni.
– Tu sai che siamo inevitabili?
Osservo le mie mani. La presa. Le sue. Un fiume che accoglie placido l´irruente cascata. Possibile. Non credo al destino, ma alle storie, agli incroci, alle possibilitá sospese, alle scelte e qualcosa fuori dalle scelte resta sempre. Perché ci manca la forza. Lo spazio per fermarci prima. In fondo al cuore lo perdoni sempre, con la mente invece ci convivi. Non puoi.
I suoi occhi guardano l´ambra del tramonto, un tramonto qualsiasi, un tramonto insieme non é mai qualsiasi. I suoi occhi guardano come se un giorno non sapremo che farcene di questa inevitabilitá. Resto sul suo sapore. Sa di schiuma di mare sugli scogli. Di polvere africana sul sole torrido di un cappello indigeno. Sa di binari lisci e ancorati, sempre uguali, che arrivano sempre a destinazione. Freddi. Sa di casa, e la casa sa di noi.
– Quel sentirsi tuo, comunque, anche se non potremmo. Sai non so se sia la colpa vera. O la tua famiglia. E poi non saprei fare il padre, forse. O imparerei troppo tardi. Tu vuoi un uomo. Non che nasca un piccolo grande uomo da un ragazzo.
Michela non parlava mai molto. Le nostre conversazioni erano sbriciolate in tutta la loro forza negli sguardi. La sensazione di non essere al posto giusto e il momento sbagliato. A volte ci lotti una vita intera, io ero lí a quel punto. Ma sentivo qualcosa che non avevo mai incastrato nel cuore. Ma non era per me. Lei non era mia. La sua vita non era mia. Il suo futuro non era mio. Avevo solo un pensiero, di lei, un´immagine riflesso, una cascata che mi finiva dentro. I suoi capelli biondi. Il suo essere donna e il mio essere ragazzo.
– A momenti torna mio marito. Forse é meglio che vai. Ma non pensare a cose brutte, non accelerare, non rallentare. Rispetta l´andatura della vita. Ti voglio bene.
Avevo progettato di vederla un´ultima volta. Per fare l´amore. Ero folle. Ero segnato dal suo sorriso spento, dalle sue storie tristi. Mi rivedevo in lei, non sopportavo lui, il suo giardino grande la macchina di lusso, il quadretto familiare spezzato. Il futuro tagliuzzato, compromesso. Le bugie, la cattiveria. Avrei voluto salvarla. Ma dovevo salvare me. Quell´amore mi inghiottiva, mi sopraffaceva, mi ricordava che ero sleale a pestare il giardino di un altro. Riavvolsi le nostre canzoni. Chiusi le nostre poesie, le mie per lei, le sue. Feci le valigie, riempii la macchina. Per lasciarla al suo destino. Che sapevo, che sapevo. Che mi scompattava in cento parti uguale di desolazione.
– Rispetta l´andatura della vita, ho sussurrato sull´A4 in piena notte.
Parlavo a lei. La sua immagine sul finestrino. Ma eravamo a compartimenti stagni. Un pensiero in comune non bastava a tenerci su. Un modo per fuggire e per non tornare. Un modo per non tornare a fuggire. Trovarsi. Tutto finirá, con la forza del niente. E torneremo noi stessi. La vita si ripete, nelle cose piú tragiche e in quelle piú banali. Spinsi a fondo il pedale. Chiusi gli occhi. Sii felice. Un sussurro. Vibra l´anima, carica, pesante, spogliata, incurante. E via.
Fabio Pinna