“Raccontami delle urla”.
“Le urla. Ci sono quelle di gioia, sono quelle dell’arrivo perlopiù. Ci sono quelle di paura, di rabbia, sono di odio perlopiù. Ci sono quelle che servono a far uscire una forte tensione, positiva o negativa. Ci sono quelle per far accorgere a qualcuno che ci siamo. Forse altre, non lo so”.
“Molto bene. Adesso parlami di quelle più vicine a te”.
“Quelli che abitano di sopra, a volte”.
“Non voglio sapere di quelle. Parlami delle tue. Anche tu urli, non è vero?”
“No, io non urlo”.
“Cosa fai per non urlare?”
“Faccio silenzio”.
La mano si stringe leggermente. Un riflesso. Sbagliato, giusto.
“Rilassati. Nessuno ti giudicherà, sono qui solo per ascoltarti”.
“Potrebbe farlo anche il muro esposto a nord del mio appartamento. Vorrei qualcuno che mi giudicasse, sentirmi qualcosa”.
“Raccontami di quelle volte che c’è stata l’idea”.
“Ogni volta che c’è stata l’idea non c’era lei. Lei. Quando c’era lei non c’erano idee. C’era lei”.
“Spiegati meglio”.
“Quando c’è tutto non può esserci altro”.
Le palpebre chiudono un sottilissimo strato di nostalgie. Un riflesso. Sbagliato, giusto. Comunque è l’istinto che ci salva.
“Torniamo al silenzio. Mi sembra di capire che siano le tue urla”.
“Si spieghi meglio”.
“Solo io posso fare domande ma sei libero di rispondere qualunque cosa ti venga in mente”.
Si sta scomodi sotto una lente d’ingrandimento. Ti fa grande come non sei, ti fa brutto esattamente come sei. Non ci sono scappatoie. Un respiro tormentato. A volte si deve.
“Il mio silenzio non sono le mie urla. È compensazione”.
“Compensazione?”
“Sì, penso di sì”.
“Mi interessa molto. Che tipo di compensazione?”
“Compensazione forzata, come quella dell’orecchio medio”.
“Ti riferisci a quella di chi fa immersione?”
“Già”.
“Hai fatto il sub?”
“No”.
“Continua”.
“È il solo modo che ho per tenere la pressione stabile. Quella tra dentro e fuori”.
“Raccontami di quelle volte che c’è stata l’idea”.
“Gliel’ho già detto. Cosa devo aggiungere?”
“Quello che ti va”.
“Quelle volte che c’è stata l’idea non c’era lei. Angela. Allora ho fatto compensazione. Ho fatto silenzio. Per non implodere. Come per l’orecchio ed invece è per il cuore”.
Segreti. Come quelli di tutti. La testa si incassa nelle spalle, c’è da aspettare. Sempre. Qualcosa. Possibilmente la cosa giusta.
“Rilassati, sono qui solo per ascoltarti. Abbiamo quasi finito”.
“Lei lo sa che si può misurare la soglia del dolore ma non il dolore?”
“Perché dici questo?”
“Perché non posso io, non può lei. Nessuno. Neanche con una conversazione. Se non si può misurare non si può comprendere. E sto già mancando al muro esposto a nord del mio appartamento”.
Un dialogo folle. Nessuno s’accorge. Qualcuno tira le tende e mette in pausa qualcosa, qualcuno il corredo contro il muro e finisce qualcosa, qualcuno un sorriso e inizia qualcosa. Un dialogo in una testa sola. Guarda te. È silenzio, solo silenzio, tutto silenzio. Compensazione forzata. Come per l’orecchio e invece è per il cuore.