Gira che gira poi tocca a te, sentirti come la bella o come la bestia con il numero in mano, perdere il filo di quello che stavo dicendo, tocca anche a te togliere gli aggettivi alla vita, fare le pause riflessive in cui non rifletti un diavolo di niente, rifarti al contrario per cercare l´inizio. Ci diamo il cambio che non possiamo tutti sentire tutto e per vivere c´è poco posto, anche se hai la casa di proprietà. Ci diamo il cambio per suicidarci.
Di là vengono a portarti spiegazioni, a ricordarti buoni motivi, a spaventarti con ipotetiche conseguenze, belle come le ragazze che sfilano, che se le eviti è meglio. Ma a noi non interessa come si fa, per stare in equilibrio non servono le gambe degli altri, non ci interessa studiare e applicarci, non ci faremo interrogare su una materia che cambia ogni giorno ed è la stessa ogni giorno. Una certa vita. Siamo pronti a stare male senza invito, siamo pronti a tossire ricordi, siamo pronti a schiantarci su questo “ora” senza sapere quanti altri ne avremo, di questi qui.
Stringi, stringo, per vedere quello che rimane. Ci fanno paura le risposte, come a tutti. Scoprire che dobbiamo prolungare certe torture, perché è meglio così, perché così si fa. Che anche quando ci arriviamo al fondo della pancia non è tutto qui. Togli anche qualcosa a qualcuno, ma fattela bastare, una certa vita perfetta per continuare a comprare. Dicono in giro. Togliti anche qualcosa, ma fattela bastare, una certa vita perfetta per versare i contributi. Dicono a Montecitorio. Spacca il muro del suono, dice Ligabue. L´hai portata? É una vita per non pensarci, dicono nei quartieri spagnoli di Napoli come al Parco Sempione. Gira che gira poi tocca a te dire la tua e non ci sono molti spettatori. Chissà se qualcuno si accorge se aggiungi una doppia. Non guardare me, io sono perso, bruciato. Ma nessuno rimpiazzerà i tuoi discorsi irrecuperabili, le tue lamentele, i tuoi “dove si va?”. Se me lo chiedi te li ricordo io. A fare i fetenti diamoci il cambio. E perdoniamo la vita, contemporaneamente.
Ti salvo tra i preferiti del telefono, del computer, degli occhi, che voglio trovarti anche per caso. Una certa vita, che però. Fin dove arrivano i brividi. E vorresti svuotarti ma ti son allagate le parole. Siamo ancora noi, che più che fatica è incoscienza, quelli risorti senza esser mai morti. Pari e dispari.
Ce la sentiamo addosso, una certa vita. Che però. Finché basta. Forse avremmo tesoro mio, delle volte, solo bisogno di sentirci un po’ più dei fottuti eroi.