C’è una storia perfettamente sconosciuta, parzialmente sorvolata, felicemente protetta. Una storia ridicola parallela doppia e precisamente confusa alla mia. La mia. Di silenzio. Uno di quei concetti che neanche ti devono spiegare, che neanche ti devono sfiorare perché senti da sempre appiccicato come una seconda pelle. Uno spazio tempo conficcato e messo a orbitare in un sistema più grande alle spese di globalizzazione e conformità che dispone di poche scelte. Una storia che prova a salvarsi come la carne si attacca all’osso per sostenersi. La più vecchia cooperazione scelta con la vita. Un’eventualità come altre, un esempio dato da qualcuno, il pregio di un difetto personale forse, più semplicemente essere come si è.
Tenere a mente le cose non dette è possibile quanto tenere a mente quelle dette. Quelle cose lasciate e fatte morire dal lato più forte delle labbra. Serrate. Eppure sono tante. Eccessive, traboccanti e mai paghe. Silenzi che pesano, lasciati appesi alla coscienza dei ricordi che prima o poi finiscono per lacerare, o rimpicciolire come qualsiasi maglione di lana lavato a cento gradi.
Silenzi, per la certezza matematica di non essere compresi, lì dove per la matematica non c’è posto. Silenzi, per la semplice paura che i propri sguardi, gesti, azioni possano essere fraintesi, addirittura capovolti dalla normale assurdità degli altri. Silenzi, perché non si ha la forza di ragionare contro, tantomeno di parlarne. Silenzi, perché fa comodo estromettersi e tornare nessuno in un posto dove tutti pensano di sapere la verità su te stesso che neanche tu sai. Silenzi, per l’imbarazzo del rompere equilibri delicati, smontare sorrisi possibili o per l’imbarazzo di scoprirsi meno soli in meno tempo rispetto a quello che ci si aspettava.
Ci sono storie che dalla carta passano alla pellicola. Addirittura sembra che qualcuno tenti di farle passare dalla pellicola alla propria vita interpretandone gli stessi ruoli. E ci sono storie che passano dalla vita alla carta. Perché non hanno trovato orecchie, perché in fondo non le hanno mai cercate fortemente ma solo accettate. Perché non sanno dove altro finire. Una di queste storie è la mia. La carta mi ospita, dopo che la pelle lo ha fatto con i sentimenti, dopo che il silenzio li ha stagionati. E solo nella carta questo silenzio può urlare. Si dimena, strappa le corde vocali in una stanza vuota, una ad una, ciondola rafforzato dall’ennesima sconfitta. Dopo che molte cose si son ridotte ad essere niente o poco di qualcosa.
E’ una storia che non nasconde niente, non chiede nulla, aspetta solo essere capita. Ma non aspetta veramente. E’ una storia che a mo’ di sistema immunitario: si protegge da sola. Per farlo nega i sogni e le speranze come se fossero i virus. Una guerra innata, immobile e silenziosa, attenta, eterna. Una storia che nella sua disperata alternata solitudine di silenzi trova gli occhi solo per bruciare di presente. Per dirti che va tutto bene. Per dirti che il silenzio in fondo non è nulla.
Una storia di silenzio è di frontiera, tra il darsi e il non darsi. Il concedere un metro e rioccuparlo un giorno dopo. Confini vacanti, fatiscenti, poco convincenti.
La carta non fa domande. Assorbe, non tenta di capire, testimonia. Ti svuota completamente e poi quando la leggi ti riempie per quel buon minuto. Per un minuto che vale tutte quelle ore di silenzio.
Le storie passano, si dimenticano, si tappano con altre storie più importanti. Restano ricordi smarriti. Ininfluenti mattonelle quadrate da mosaico incastonate nel nostro disegno più grande. Questo lo so. L’ho sempre saputo. Dal giorno in cui iniziai la mia ridicola vita parallela di silenzi doppia e precisamente confusa alla mia. La mia storia di sguardi persi a cose semplici e impossibili. A persone dolci e impossibili. A imprese incredibili e impossibili. La mia storia di dolori affondati nel petto ad oltranza. La mia storia di silenzi che ancora non riescono ad esprimere il concetto di bellezza, come le dita non possono quello di tenerezza d’animo.
Forse sono pronto a passare anche nella tua storia, con la malinconia di chi sa già cosa dovrà lasciare. Sapendo che poco di te toccherò. Leggero. Forse sono pronto a farmi ricordare, in uno qualsiasi dei modi, a vivere in lampi di qualche riga d’inchiostro che scrivo oggi per il tuo domani.