Quel ragazzo non è normale.
Lo pensa la signora Santoni, quella del terzo piano, ogni volta che incrocia i suoi movimenti assenti sulle scale del palazzo, quando poi distoglie puntualmente da lui lo sguardo. Lo pensano i compagni della 5° C del liceo “Ferraris” di Bologna. Lo bisbigliano sottovoce tra i banchi di scuola mentre lui prende posto con uno sguardo spento già dal mattino. “Deve avere qualche disturbo mentale” dice Martina, una delle sue compagne di banco, bionda coi capelli corti, “ed è un peccato perché è anche uno carino, oltre ad essere il primo della classe”. Chissà cosa c’è nella sua testa. Se lo chiedono i genitori ogni sera, nel letto dopo cena, preoccupati. Hanno paura di chiedere al ragazzo. O paura di sapere. Che è strano lo urlano due ragazzi sconosciuti in sella a un motorino senza casco in Viale Certosa. Si vede da come ciondola. La società decide. Ragionevoli dubbi.
Un freddo insolito a Bologna. Alessandro cammina. Lui sa. Le ombre si mangiano fette di centro e di storia, il profumo di fritto dai retri dei ristoranti diventa più acuto, i tacchi schioccano magicamente sui piedi delle persone. I selciati pesano quanto le schiene di chi ha posto quadrato per quadrato. Qualche bambino in piazza tiene il palloncino della festa del rione ancora. Qualche ragazzo tiene la sua panchina forte come un terreno di conquista, la scalda per qualcuno. Ma è terra di nessuno. Illusioni a Bologna.
Ma le illusioni ci fanno vivere. Sono le estensioni alla voglia di vivere.
L’unico posto dove vuole andare, dove vuole essere Alessandro, è a casa. Ma non la casa di tramezzi, finestre e tegole. La casa della famiglia. Ma non trova la strada del ritorno. L’orologio fa il suo lavoro e gira le lancette. Alessandro fa il suo inutile lavoro e gira gli sguardi con le mani in tasca e i pensieri pieni. Incroci e strade. Foglie capovolte e marciapiedi con chewingum grigi di ragazzacci maleducati attaccati su. I pensieri sono troppi. Ma a cosa può pensare un malato di mente? Quanti replay vivranno fermi nella sua mente, per quanto, e quale significato avranno?
Nicola, il suo amico immaginario direbbe semplicemente che vive nei libri. Per questo ha sempre il massimo dei voti. Nicola invece non studia mai. Vive sul filo del ritardo. Cammina con una sigaretta dietro l’orecchio destro incastrata per bene. Ma piace alle ragazze. Nicola vive da solo, anche se ha i genitori a due isolati e si guadagna da vivere rivendendo pezzi di motorini rubati dagli amici al mercato nero. I soldi gli bastano per pagarsi una stanza all’ostello degli studenti e mangiare i panini caldi degli ambulanti. Quando sei affianco a lui ti senti importante, tutti lo salutano. Dentro e fuori il suo territorio gode di rispetto. Devi avere un territorio per essere qualcuno. C’è anche sui libri di storia. Ha sempre gli occhiali all’ultima moda e non si separa dal suo profumo Calvin Klein. Sregolato, pieno di segreti ma amante, fiero, forte come lo sono gli italiani. Leale quando deve. Ma soprattutto, lui dice tutto quello che passa per quella testolina agitata. Non nasconde niente. Amori, veleni, impazienze, boiate. Alessandro vive nell’incapacità di essere Nicola. Per questo lo ha inventato. Per questo parla più a lui che a qualsiasi altro. Per ricordarsi di come dovrebbe essere agli occhi della gente. Lui sa di essere un debole, non un vincente. Di esserci poco negli occhi della gente. Uno che nella vita faticando avrà e faticando non se lo godrà. E non ha bisogno che gli altri glielo ricordino.
È cambiato tanto in questi anni. È cambiato il modo con cui si sceglie di comunicare. Sono cambiati i destinatari dei nostri messaggi, i contenuti. E le lettere non hanno più tanto valore. Nella lettera decidevi che penna usare, la carta, se lasciarla così come buttata giù o ricopiarla in bella, a volte ci rimanevano briciole intrappolate, profumo, altre volte lacrime, che poi anche asciugate lasciavano quel piccolo cerchio di carta ondulata. Potevi scegliere il francobollo, se lasciarla a mano, o sotto la porta. Potevi scegliere i sentimenti. Adesso abbiamo le mail, gli stati su Facebook e Twitter. Gli sms. I post-it per le cose da ricordare. E le cartoline per dimostrare le nostre belle vacanze. E possiamo scegliere solo il colore.
Parliamo più rispetto a una volta per cose di minore importanza. Per cose che a volte non riguardano che emeriti cretini della Tv ed i loro riflettori puntati. Per le vite private o pubbliche di persone che governano, che ci fregano, o che ci fanno perder tempo. E che non conosceremo mai.
È probabile che abbiamo espresso recentemente pareri per queste persone, dedicando, forse in nome di qualche ideale, del tempo che avremmo potuto invece usare per l’deale della famiglia e dell’amicizia, rafforzandolo scambiando pareri con e per le persone della nostra vita. C’è chi come Alessandro non trova il destinatario, non trova i sentimenti, e tralascia gli sms. Lui è seduto da qualche minuto nella macchina della madre, parcheggiato davanti ad un albero roccioso d’altri tempi, sfuggito al vandalismo dei graffiti. Pensa alla sua famiglia. La sua mano scivola sulla sciarpa in pile regalata dal padre. Anzi, concessa dal padre, da quella volta che si era influenzato. Non poteva andare a scuola con il collo scoperto e la madre aveva aperto il guardaroba del padre a sua insaputa per dargliela. Così era diventata sua. Uno dei pochi regali. Aveva ancora il suo profumo. E si cammina da dio quando hai il profumo di tuo padre su di te.
Come siamo distanti. Distanti dalle persone che amiamo che ci vivono così vicine. Come siamo complicati. Strani. Malati. Forse. Ma basta ancora una sciarpa a farci commuovere.
È cambiata anche la famiglia. Si è allargata per far posto a qualsiasi espressione e comportamento l’uomo voglia avere. Perché è un suo diritto. Come lo è morire di aids o di vivere pensando di essere felice. Si è ristretta per lasciare vuoti di mogli e mariti che smettono di amarsi per tradirsi. Ci sono sempre stati quelli che hanno alzato le mani per fare male, per spaccare piatti, bicchieri, dignità. Ma ora sembra diventato ancora più semplice e meno rumoroso.
Ora basta fare una valigia. Non c’è passato che tenga. Ci si ritira in un istante dalle proprie responsabilità senza consapevolezza di colpevolezza. Non dirmi che non lo sai. Nella tua famiglia c’è qualcuno che l’ha fatto, qualcuno che l’ha pensato centinaia di volte. Oppure guarda nella lista degli amici. Quante foto di matrimoni cui hai partecipato hai coraggio di rivedere in compagnia? Oppure si uccide. Finita la famiglia.
La famiglia di Alessandro è una solita famiglia. Ci si stringe tutti intorno quando le cose si mettono male per qualcuno. Quasi verrebbe voglia di farsi male di proposito per sentire quel calore in più. L’attenzione. L’eccezione. Questo si può pensare ma non si può dire. Alessandro lo sa, non ha bisogno di peggiorare la sua situazione di matto. E non lo dirà.
Lui vorrebbe solo che qualcuno gli apra i pugni. Che prenda le sue pagelle e le nasconda in un cassetto e cominci a parlare di come sa pensare dolcemente. Che gli spettini i capelli per ripettinarli con cura. Qualcuno che rinunci a quel che può, per fare qualcosa che non può. Che perda gli scontrini dei costi del vivere insieme. E che anziché parlare, sbuffare o decidere semplicemente ascolti. Anche il suo silenzio. Ma non c’è nessuno.
Per questo la gola si secca e negli occhi si ingrossano mari.
Alessandro è fatto di giorni appesi su muri indifesi, un calendario di presi e mai resi. La vita è un passatempo un po’ lungo e costoso. Speranze labili, incontrollabili. E pensa che se non riuscirà a farsi amare allora dovrà riuscire a farsi odiare. Questa è la sua pazzia. Diventare isola e tagliare i ponti su cui cammina la poca gente che vuole arrivarvi. Tagliarvi fuori, senza un se o perché. Senza ascoltare la vostra opinione in merito.
Si pensa che il dovere morale verso le persone che ci vogliono bene sia condividere con loro le nostre opinioni, scelte, progetti. Ora se capovolgiamo questo dovere morale al contrario, dovremmo sicuramente notare che da coloro che ce lo chiedono questo è stato fatto. È stato fatto? Ma non basta capovolgere o intortarci con il giudizio. È più sbagliato appoggiarsi a un cuore che non sai per quanto resterà lì per te. È sbagliato credere, a volte. È più giusto cedere.
Così una scuola decadente nel centro di Bologna non è l’opportunità per i più meritevoli. Le luci delle boutique di Corso Grande non sono accese per te che vivi di valori imprescindibili. Alessandro, lo sa, tra gli amici che schizzano sui loro motorini e fumano per convincersi d’esser grandi non sarà ascoltato quando avrà qualcosa da dire, ma quando avrà qualcosa da dare. Sarà qualcuno quando scriverà un blog, o commenterà le fotografie degli altri. Quando parlerà dei viaggi che gli amici raccontano con gran da fare, quando starà alle loro feste ubriacandosi e fingendo di essere felice, quando dirà loro che sono bravi in questo e in quello. Poi anche lui sa che crescerà, e la storia si ripeterà con i colleghi, e le ragazze che vorranno conoscerlo. Quando farà un complimento per la macchina importante del capo o uno stato smagliante della centralinista dovuto alla loro palestra e all’estetista. Quando farà i soldi senza quei valori imprescindibili. Quando risolverà i problemi di qualcuno.
Invece starà zitto. Non darà importanza. Se non al silenzio. Quello pesante che nessuno gli ruba. Quello pesante che qualcuno gli nega. Quello con cui dice che non gli servite. Bologna e la vita non gli daranno più che a nessuno. Perderà cose che avrà trovato, come tutti. Alcune belle, alcune tristi. Rimpiangerà. Non chiederà aiuto a te per dimenticarle. Lo sa che tu non esisti.
C’è Nicola, l’amico immaginario che farà tutto quello che lui non vorrà, o non potrà fare. Ci saranno le notti, come ci sono oggi, in cui il piumone stretto sarà bagnato dalle sue lacrime. E gli urli saranno impercettibili. Prima di una nuova colazione.
Senza alcun dispiacere resterà pazzo. Sarà la miglior cosa che riuscirà a essere. Resterà nessuno.