Uno.
Frrr. Tzschh. Frr. Puntini bianchi e neri attraversano la tv. Timothy ha in mano il telecomando, pulsante sbagliato, è su frequenze in cui non trasmettono niente. Incuriosita dal rumore proveniente dal salotto arriva Caterina e salva il piccolo da un pomeriggio di noia trovando il canale di Walt Disney. Lui è una statua di cera con un cuore. Un cuore infossato come sasso. Dieci anni e sapere già quanto possa essere inesorabile la vita. Niente patti, intese, negoziazioni. Occhi lucidi da vendere. Sentire la forza misteriosa che si trascina nel tempo portar via quello che hai. Un piccolo così tanto consapevole è un po’ grande.
Gli amici lo chiamano stecco. Oltre ad essere davvero magro come un filo di paglia ricorda vagamente l’aria scanzonata e buffa di Benigni in “Johnny Stecchino”. Da grande vorrebbe fare il postino dice, per essere sempre in sella ad un motorino e godersi la litoranea, una lunga C che strappa terra al mare, cui è affezionato. Per ora si accontenterebbe di giocare a pallone in una squadra, con un pallone vero, al posto di quello della Playstation. I compagni bisbigliano che sia un genio di quelli che diventano scienziati. Forse quelli che tentano di salvare il mondo. Oltre ad eccellere in ogni materia Timothy, oltre a studiare per conto suo materie del liceo, oltre a stupire per la sua logica, è un bambino mai sazio di sapere che pone domande che mettono in difficoltà i grandi. Ma ci sono domande a cui nessun grande può rispondere.
Dove lo metti sta. Riceve i complimenti come si riceve una caramella da mettere subito in tasca. Guarda impassibile la felicità degli altri, per capirla. Una cosa pratica che non si può teorizzare, sintetizzare, ricomporre in formule. Questo è il fascino che insegue segretamente. Capire e vivere della gioia riflessa. Perché lui lo sa che una sua, una tutta sua non l’avrà.
Due.
Frr.Tzschh.Frr. Come se dovesse scusarsi davanti a un sorriso alla vita. Frr.Tzschh.Frr. Salta la frequenza. Ancora. Stavolta è il cuore. Il piccolo cuore. Via Manzoni è trafficata. Dalla sala d’aspetto si sente l’ora di punta. I camici, i colori diversi degli infermieri, la donna che passa a fare le pulizie. L’odore vago di minestra, il cellulare che continua a squillare.
– Cos’hanno detto i medici?
– Il solito.
– Non è ancora fuori pericolo?
– No, mio Dio. No. Non ce la faccio più. Ogni volta mi sembra di morire al posto suo.
– Stiamo arrivando. Ti serve qualcosa?
– Mio figlio. Vivo.
Le grandi finestre sporche dall’esterno, le famiglie che si stringono in speranze tutte uguali a capezzali. Davanti a chi vuole vincere le proprie battaglie appese alle flebo, poggiate ai bisturi, sdraiate su lenzuola fresche. Prima dei nonni arriva il papà.
– Come sta?
Caterina accartoccia le spalle. Come a chiudere un segreto che non sa. Tra mamma e papà la sincronizzazione dei cuori è saltata tempo fa. Ora sono frequenze singole che trasmettono anonimi puntini bianchi su sfondo nero. Ma stare insieme è un obbligo, tirare avanti con fatica per non aggravare il cuore di Timothy con un dispiacere irreparabile.
Ho visto persone col sorriso in bocca che predicevano la risoluzione di un problema a qualcuno preoccupato. Il lavoro, l’amore, l’umore. Tutto si sistema, non ti preoccupare. La ruota gira, compra la vocale giusta, incasellala dove sai e arrivi dove vuoi essere. Chi non l’ha mai detto, pensato.
Facile essere positivi con la vita degli altri.
Facile di mestiere vendere vocali agli altri.
Quando poi le parole le perdi e la paura ti fa tremare dentro e pensi che il senso di tutto può anche finire a minuti. Allora non ti salvano gli sguardi incrociati che cercano di starti vicini. Non ti sollevano i forse, non ti afferrano dentro le braccia che lo fanno da fuori.
Tre.
Timothy conta i giorni che spera di avere. In Timothy i ritmi veloci e caotici di tachicardia ventricolare e di fibrillazione ventricolare riducono l’efficacia dell’azione di pompa del cuore. Durante la fibrillazione il suo piccolo cuore batte molto velocemente e caoticamente, perdendo la sua capacità di pompare il sangue e farlo circolare in tutto il corpo e nel cervello. Bastano pochi minuti. E il buio. Per questo Timothy vive nell’apprensione degli altri, la legge negli occhi di chi non può abbandonarlo nemmeno per un istante, la evapora distratto dagli sguardi persi sui muri degli ospedali.
– Ci dica dottore, ci son novità?
– Il bambino è stabile. Il cuore ha retto ancora.
Pausa.
– Vi prego raggiungetemi nel mio ufficio, dobbiamo parlare.
Caterina e Marco erano atterriti. Basta notizie cattive. Il loro cuore era già in pezzi.
– Non reggerà a lungo.
Questo, questo lo immaginavano. Ma non volevano saperlo.
– Cosa si può fare? Disse a voce bassa Marco.
Il primario conosceva a memoria la situazione. Aveva visto quel bambino entrare e uscire da quell’ospedale più di una decina di volte. L’aveva visto sempre più debole di cuore e sempre più innamorato della vita. Era un caso a cui si era affezionato. Si era informato bene.
– Esiste una possibilità. Un medico nello stato della California potrebbe provare a impiantare una valvola plasmatica iroidale ad impulsi. Si tratta di sperimentazione. Nulla è sicuro. Vostro figlio sarebbe il primo. Teoricamente gli impulsi dovrebbero controbilanciare gli spasmi e le fibrillazioni del cuore di Timothy. In pratica, beh..solo Dio lo sa. Capisco che non è un buon momento per voi questo ma non avrete tanto tempo per pensarci su. E’ meglio cominciare da ora.
L’ospedale diventava silenzioso. Il senso delle cose ottenute e comprate, degli errori, delle divisioni, dei litigi, dei programmi. Finiva tutto in un niente.
– Ci dica cosa dobbiamo fare dottore, noi non capiamo nulla di medicina. Vogliamo solo nostro figlio.
Scene così le aveva già vissute il dottor Moretti. Sembra inadatto dirlo, ma fanno parte del mestiere. Si cerca di partecipare in maniera misurata al dolore altrui per una breve pausa e poi si prosegue il proprio lavoro. Per tentare di curare, di salvare altri ogni giorno. Non ci si può fermare. La prima regola che non ti insegnano in facoltà di medicina ma che impari a pochi giorni dall’aver indossato il tuo primo camice è non farti coinvolgere nei sentimenti. Per il bene di se stessi e del proprio lavoro. Nunzio, Nunzio Moretti. Questa volta era diverso.
Timothy gli aveva stretto la mano e gli aveva chiesto se poteva tornare a casa perché stava costruendo un modellino da regalare ai suoi per l’anniversario di matrimonio. Gli disse:
– Voglio vivere abbastanza per renderli felici. Mi aiuti.
– Loro sono già felici di te, rispose il dottore.
Lo disse scappando dalla stanza con il cuore triste. Ora era davanti ai genitori, e doveva dire un’altra cosa triste.
– Mi son permesso di contattare il dott. Ernest Chukal per studiare la fattibilità dell’operazione. I costi rappresentano il vero ostacolo.
– Di quanto parliamo?
Pausa.
– Due milioni di dollari.
Una speranza creata. Una speranza infranta. In cinque minuti esatti.
Caterina scoppiò a piangere. Marco si mise la mano davanti alla bocca. C’era poco da dire.
– Non avremo mai quel denaro. Nostro figlio deve morire perché non abbiamo abbastanza denaro? Ci sta dicendo questo? Che mondo è mai questo? L’abbiamo scelto noi forse?
L’aria era tesissima. Moretti sapeva che sarebbe successo. Moretti sapeva dall’inizio come sarebbe andata a finire.
Quattro.
A volte le frequenze saltano da sole. Frrr. Tzschh. Frr. A volte c’è bisogno di un gesto di qualcuno per rimetterle a posto. Moretti due settimane dopo l’incontro con i genitori di Timothy pianificò il suo. Entrò in banca e ottenne la metà della cifra richiesta per l’intervento di Timothy ipotecando la sua villa. Attraverso un amico arrivò a un prestito dai fondi malavitosi. Strozzini. Di quelli che son restituisci entro i termini ti ammazzano. Aprì una finanziaria. Vendette tutto quello che poté. Ma non si stava rovinando la vita. Stava dando un senso agli sforzi di una vita. Le frequenze non dovevano più saltare. Non avrebbe mai potuto tenere fede agli onerosi impegni economici. Il suo destino era segnato. Ma non era questo il punto.
Tre settimane dopo, l’ultima persona che i genitori di Timothy si aspettavano di vedere davanti alla loro porta era lì, nervoso e spettinato. Nunzio Moretti. Sembrava un padre pronto a dare affetto. Invece aveva una busta con i documenti da firmare. Era stato già tutto organizzato. Timothy doveva solo partire. E sperare.
Lungo il viaggio di ritorno dalla California per la prima volta quella sembrava una famiglia felice. Timothy non si era mai sentito così bene, l’intervento era andato perfettamente. Sapere di avere qualcosa che pensavi perso riempie di speranza. Moretti lo sapeva. L’aveva immaginato centinaia di volte. Godeva di una speranza che lui non era mai riuscito a provare in vita sua.
Marco, Caterina, Timothy. Guardano fuori dall’oblo dall’alto dei cieli. Non sanno che non vedranno più in vita Moretti. Che era stato tutto studiato. Che una vita sparisce per far posto ad un’altra. Non ci sono spiegazioni. C’è onore, rispetto. Scelte. C’è dolore, c’è un senso. E c’è speranza. In questa vita.