
Autore: Edith Bruck
Pubblicato da La nave di Teseo - Ottobre 2021
Pagine: 176 - Genere: Autobiografico, Romanzo storico
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Oceani
ISBN: 9788834607930
ASIN: B09HQQVKWM

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Per non dimenticare e per non far dimenticare, Edith Bruck, a sessant’anni dal suo primo libro, sorvola sulle ali della memoria eterna i propri passi, scalza e felice con poco come durante l’infanzia, con zoccoli di legno per le quattro stagioni, sul suolo della Polonia di Auschwitz e nella Germania seminata di campi di concentramento. La Bruck racconta la sensazione di estraneità rispetto ai suoi stessi familiari che non hanno fatto esperienza del lager, il tentativo di insediarsi in Israele e lì di inventarsi una vita tutta nuova, le fughe, le tournée in giro per l’Europa al seguito di un corpo di ballo composto di esuli, l’approdo in Italia e la direzione di un centro estetico frequentato dalla “Roma bene” degli anni Cinquanta, infine l’incontro fondamentale con il compagno di una vita, il poeta e regista Nelo Risi, un sodalizio artistico e sentimentale che durerà oltre sessant’anni. Fino a giungere all’oggi, a una serie di riflessioni preziosissime sui pericoli dell’attuale ondata xenofoba, e a una spiazzante lettera finale a Dio, in cui Bruck mostra senza reticenze i suoi dubbi, le sue speranze e il suo desiderio ancora intatto di tramandare alle generazioni future un capitolo di storia del Novecento da raccontare ancora e ancora.

“Avrai aspettato tanto, ma il dottore ti guarirà.”
“E dopo?” disse mio fratello Beni.
“Al ritorno cammineremo fino a stancarci, per farti vedere tutto: la gente, i colori, il cielo; quel giorno brillerà di più anche il sole, per festeggiarti dopo tanto buio.”
Leggere Andremo in città nel mese dedicato alla memoria, scritto da Edith Bruck che la Shoah l’ha vissuta, è un colpo a ogni pagina.
Lo stile, toccante e autentico, si basa su una struttura ordinata dal punto di vista spazio-temporale in quanto ci trasporta dapprima nel contesto che precede la guerra: le vite dei personaggi si svolgono nella miseria ma allo stesso tempo nell’amore di un padre che invita la moglie a danzare nello spazio angusto della loro casa o nell’amore di Lenke che descrive ogni mattina il cielo, al fratello non vedente, “di un azzurro tenero dolcissimo, anche quando era nero come il catrame.” Nero perché avvolto dalla paura della guerra dove uomini con le medaglie nei giorni di festa parlavano di gloria e patria mentre tutti gli altri quella gloria non la capivano o non la volevano. Questo estratto, come quello nella sinossi, è tratto dalla storia che dà il nome al libro e che fa da ponte per giungere poi al tema del dopoguerra: quello della speranza. Nonostante tutto, si torna difatti a credere nella gente e ad avere fiducia nel meglio, nel valore dell’uomo.
Si tratta, a mio avviso, di un libro indispensabile poiché a oggi il 15,6% della popolazione italiana crede ancora che l’Olocausto non sia mai esistito.
Approfondimento
Di rilievo è il riferimento alla religione ebraica attraverso la descrizione, nel racconto denominato La sentenza, della figura dello “shaychet”: in sinagoga, ogni giovedì, con una tonaca nera di lana chiusa al collo anche d’estate e con un cappello, anch’esso nero, e duro dalla tesa tonda, lui soltanto è autorizzato ad ammazzare le bestie e a giudicare, per gli osservanti, se la carne è commestibile oppure no. A lui spetta di pronunciare la parola kosher, per indicare che l’animale è sano, e la parola treyffeh che per tutti loro significa condanna. Fuori della sinagoga si trovano altre donne, cristiane, per contrattare i volatili rifiutati e giudicati impuri.
Ho trovato questo passo significativo poiché qui la scrittrice lancia il suo grido di dolore, la sua testimonianza di come la fame abbia superato la religione, e di come “altre mani più fredde e più sicure” abbiano toccato il cuore dei deportati.
Ma vi è un altro stralcio in cui questo messaggio diviene ancora più incisivo e lo troviamo nella storia dal titolo Il pane azzimo: qui viene riportata la leggenda secondo cui il pane che gli ebrei consumano a Pasqua fosse fatto col sangue dei bambini cristiani e viene messa a confronto con quella che purtroppo una leggenda non si è rivelata. Edith Bruck ha avuto modo di scoprire direttamente che col grasso di milioni di bambini è stato prodotto del sapone nei lager: il pane azzimo è fatto di farina e acqua invece la vita della sua, numerosa, famiglia è stata stravolta.
Dal libro, la cui prima edizione risale al 1962, è stato tratto l’omonimo film, del 1966, per la regia del marito della scrittrice, Nelo Risi, oltre che due film per la TV: “Il cavallo” e “Silvia”.
Edith Bruck è risultata vincitrice del Premio Strega Giovani 2021 e del Premio Viareggio Repaci 2021 con “Il pane perduto”.
Claudia Pratticò