Autore: Massimo Franco
Pubblicato da Solferino - Gennaio 2019
Pagine: 488 - Genere: Politica
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Saggi
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Massimo Franco racconta Giulio Andreotti. Non vi basta?
Il “Divo Giulio” non c’è più.
E quel che potremmo chiamare “andreottismo” non c’è più. Ce n’eravamo accorti a Tangentopoli, ce ne accorgiamo ancor oggi per la seconda volta.
Siamo entrati – probabilmente – nella terza repubblica, sono morti i partiti, sono morte le grandi ideologie, è morto il voto di appartenenza.
L’Italia sulla quale si adagiava l’ombra curva del Divo Giulio, sempiterna, sul suo scranno segnato, è scomparsa. Non è più. Ha cambiato colore. Non è più rossa né grigia, né bianca né nera, non c’è più il centro di gravità al quale disperatamente si cercava di aggregarsi o allontanarsi – si parla della DC ovviamente e si parla del suo segretario fosse esso De Gasperi, Fanfani, Moro o, appunto, Andreotti.
Si parla di un modo d’intendere e fare politica che, al di là del contesto storico particolare di Andreotti stesso, non c’è più.
Questo per dire che, oggi che abbiamo sorpassato anche gli strascichi di quei primi cinquant’anni di Prima Repubblica, forse si può cominciare a rispondere, ora forse si può incominciare a storicizzare.
Ho molta stima di Massimo Franco, è un ottimo giornalista, è un ottimo interlocutore – lo si vede spesso nelle trasmissioni politiche, lo si è visto sovente negli ultimi mesi per presentare questo libro. È molto pacato, molto rispettoso, è preparato, e ha un tono di voce molto accomodante.
Scrive esattamente come parla e ha delle solide basi che sapientemente sa utilizzare.
La biografia C’era una volta Andreotti, dopo la passata “Andreotti visto da vicino” del 1989, è una riedizione aggiornata e tirata a lucido dell’originale “Andreotti. La vita di un uomo politico, la storia di un’epoca” del 2008; ed è esattamente quel che ci si aspetterebbe di vedere pubblicato da un cronachista interessato ma sobrio. È una linea sottile che va dall’infanzia, passa attraverso gli studi, si ingarbuglia nelle prime esperienze nella FUCI (Federazione Universitaria Cattolici Italiani), dove lavora come redattore e conosce Aldo Moro; dunque s’infittisce negli anni dell’ascesa, dalla benedizione del “non ancora Paolo VI” presso De Gasperi, alle sue politiche sportive (e già sportive), e cinematografiche (e ri-già, cinematografiche). Ma poi, esattamente come il suo protagonista, la narrazione si rarefa, un poco si mistifica, gioca sull’allusione, non dice, suggerisce, vela, media, non mente, obnubila, sospende, vagheggia, descrive, usa l’arma magnifica dell’ironia, un’ironia talmente sottile da essere, alle volte, gelida.
La medesima ironia che traspare dalle azioni e dalle decisioni e dalle dichiarazioni (alcune) del Divo Giulio alle prese coi suoi primi governi.
La storia sua è lo specchio della storia nostra, dell’Italia nei suoi anni più complessi e violenti, siano quelli di piombo, quando al telegiornale si parlava d’un morto al giorno, siano i tumultuosi anni appena dopo la fine della guerra, con l’assemblea costituente e la redazione della beatissima Costituzione nostra.
Ma il cuore pulsante di C’era una volta Andreotti sta nella tensione e nell’imperscrutabilità. Perché vien da dire, dopo ogni pagina, ma alla fine, è colpevole o non è colpevole? Massimo Franco, da cronachista si attiene agli atti (di cronaca e giudiziari). Tratteggia la persona e il personaggio con maestria e democristianamente lascia a noi.
Approfondimento
Nel film magistrale di Sorrentino “il divo” c’è una scena molto bella. Al di là del monologo bellissimo, ma è un altro discorso. No, molto prima c’è un lungo piano sequenza, girato di primissima mattina, dove Andreotti – Servillo cammina per le strade di Roma e si ferma a leggere una scritta a vernice spray vergata su un muro e ingiuriosa verso la sua persona. Prosegue – scortato – fino a una chiesa.
Là si confessa a Don Mario che gli riporta una frase di Montanelli: «De Gasperi e Andreotti andavano insieme a messa e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa De Gasperi parlava con Dio, Andreotti con il prete».
Leggendo C’era una volta Andreotti, forse intuirete perché e cosa significa questa frase.
Luca Viti