Autore: Howard Spring
Pubblicato da Corbaccio - Gennaio 2021
Pagine: 468 - Genere: Romanzo di formazione
Formato disponibile: Brossura, eBook
ISBN: 9788867006625
ASIN: B08QDL56DV
📗 Acquista scontato su ibs.it
📙 Amazon (spedizione gratuita)
📗 eBook su ibs.it
📙 Versione Kindle
📗 Trovalo usato
✪ Le recensioni dei lettori su Goodreads
“Ci si accorge di tante mancanze nella propria condotta, di tante piccole e grandi colpe tenute segrete le quali, conosciute, farebbero rabbrividire i moralisti, che si esita perplessi a scagliare la prima pietra”
Un libro che è un tappeto volante librato sul canyon del tempo: abbandonare ogni remora prima di salirci sopra è l’unica condizione per prendere parte alle peripezie di una vita in perenne ricerca del proprio posto nel mondo, di una casella che non scotti nello scacchiere degli affetti che gli gravitano attorno.
Un affresco intimo e fragrante di un periodo storico denso di sfide ed incognite struggenti, non immune da una vena di nostalgia, capace di restituirci il precipitato di due famiglie a cavallo della Grande Guerra.
Un viaggio dal sapore di vita vissuta, un florilegio narrativo traboccante di personaggi, ognuno scolpito nella cornice delle proprie convinzioni, che si incontrano, si avvicendano, intessono legami, si perdono di vista, si ritrovano.
Affermare che Figlio mio, figlio mio di Howard Spring sia il resoconto dei fatti salienti della rocambolesca vita del protagonista, William Essex, rappresenterebbe con tutta evidenza una semplificazione insopportabile: significherebbe non rendere giustizia a un universo narrativo nel quale molteplici sono le stelle capaci di irradiare la propria luce sugli eventi rievocati.
Un romanzo di formazione affascinante quanto indefinibile, certamente, ma anche, in controluce, un saggio sul Credo di un Uomo di inizio Novecento, sulla sua capacità di soffrire, resistere, rinascere perennemente dalla mestizia del proprio niente.
E di appigliarsi al filo trasparente di una possibilità di emancipazione, ovunque esso si nasconda.
Pronto persino, se servisse, a intrecciarlo con le proprie mani, quel filo.
Odiavo il soffocamento d’una vita che, giorno e notte, ci stringeva gli uni contro gli altri, rendendoci aggressivi e ostili.
La narrazione è incentrata sulla parabola di una vita grama, quella del protagonista William (Bill), che prende le mosse da un contesto durissimo di deprivazione materiale e affettiva quale quello della casa natale di Shelley Street, “triste fila di gabbie grigie”, per proiettarsi in una panoplia di scossoni innescati da altrettanti incontri fortuiti, fino a prendere quota e guadagnare la tanto sospirata facoltà autodeterminativa distintiva della condizione adulta.
In questo lungo percorso, che occupa un buon terzo del libro, numerose figure degne di menzione emergono dalle quinte della penna di Spring, prima tra tutte quella di Dermot O’Riorden, figlio turbolento dell’ennesimo benefattore, di due anni più grande del protagonista.
Un carattere appassionato e intransigente, quello di Dermot, che nulla fa per dissimulare le proprie istanze di rancorosa rivalsa verso le prevaricazioni dei potenti di ogni tempo ed i loro soprusi a danno dei più poveri: una vera ossessione per questo coprotagonista, la cui vita ben presto si legherà a doppio filo con quella di William.
Morivano così, nelle loro capanne o fuori, sotto il cielo, quelle povere bestie umane, buone da pagar tasse, che potevano ben marcire ora, giacché non erano più capaci di pagare!
D’incontro in incontro, in un susseguirsi di dialoghi ben nutriti e di meticolose descrizioni di interni ed arredi, la narrazione prosegue senza scrollarsi di dosso la placida (ed a volte snervante) spietatezza del resoconto delle innumerevoli piccole e grandi svolte che indirizzeranno incessantemente la vita di William verso il capitolo successivo, fino alla complicità ammiccante di una notte d’inverno sospesa in un’aria immobile, nella quale il giovane Bill compirà il primo passo su un sentiero che lo tramuterà in uno scrittore affermato e conteso.
Lo attende una condizione nella quale gli innumerevoli tasselli che compongono la sua vita dovranno inevitabilmente turbinare per raggiungere una nuova configurazione in grado di lenire le offese del tempo sulle esistenze degli uomini.
Approfondimento
Prendendo il largo da un’analisi meramente fattuale, è possibile inoltrarsi in un oceano simbolico obiettivamente di gran lunga più interessante: il lettore avrà modo di rintracciarvi, sullo sfondo dell’impietosa esplorazione delle contraddizioni di un’epoca i cui riferimenti sono tutti sul viale del tramonto, le amicizie, le invidie, le lotte tra classi sociali, ed il sempiterno confronto tra le generazioni, che nel presente romanzo verrà simboleggiato dal rapporto tra William e il figlio Oliver.
Nato dall’unione con la figlia del proprietario di una bottega di pane nella quale William aveva lavorato da giovanissimo, Oliver misurerà la propria crescita specchiandosi nella vita del padre, con il quale ingaggerà un confronto a tratti aspro, sempre verace.
Vi è poi il rapporto tra Oliver e Rory, figlio di Dermot, attorno al quale ruoterà la seconda parte del romanzo, con la precisa intenzione di connotare questa amicizia nei termini di una curiosa prosecuzione del rapporto tra i rispettivi padri, di suggerire la capacità di una relazione di trasfondersi in nuovi involucri esistenziali, di sopravvivere ai propri artefici.
L’improvviso ricordo di una notte trascorsa con Dermot mi balenò alla mente. Nella sua officina, sotto la luce di una dondolante lampada che pendeva dal soffitto, mettevamo a posto il destino dei nostri figli non ancora nati.
Centrale nel supportare l’attività di scrittore del protagonista sarà il buen retiro della Villa “Il nido degli aironi”, che William acquisterà proprio dietro suggerimento di Dermot; nella distanza da tutto e tutti offerta da questa location vi sarà spazio per un nuovo incontro che plasmerà il carattere del protagonista: quello col bislacco capitano Jude Iscott, figura tormentata, enigmatica, apocalittica, che trascorre la propria vita a bordo della casa galleggiante Gezabele, la cui scorbutica supponenza lo condanna a blaterare giudizi sommari assolutamente non richiesti.
Una figura dipinta con tratti espressionisti, forte come un bicchiere di whisky bevuto tutto d’un fiato.
Ma la vita a volte gioca brutti tiri, e quando il prestigio della fama sembra innalzare una turris eburnea a guardia del sopraggiunto benessere, sarà ancora una volta l’Amore a dire l’ultima parola, a tirare una linea tra gli affetti di sempre, nel preciso istante in cui ne gemmano di nuovi.
Con esiti imprevedibili, in un romanzo il cui autentico protagonista rimane il Tempo.
Gli avrei dunque, dacché era nato, procurati tanti benefici, più o meno superflui, tante soddisfazioni, per giungere ora a negargli la cosa che forse rappresentava il più gran bene della sua vita?
Dario Filardo