Autore: Carlo Lucarelli
Pubblicato da Feltrinelli - Giugno 2017
Pagine: 39 - Genere: Racconti
Formato disponibile: eBook
Collana: ZoomFlash
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Valentina, pubblico ministero al Tribunale di Como, che indaga sui legami tra Cosa Nostra e l’Emilia Roma-gna; Helena, che si chiede cosa possa mai fare un tale di nome Borsellino dalle parti di Gallarate; Antonia, che insegue i suoi sogni girando di notte per i Quartieri di Napoli: tre storie, tre donne, la loro inquietudine, la loro ricerca. Su di loro la presenza/assenza dell’Agenda Rossa di Paolo Borsellino, che non c’è più da 25 anni ma che, forse, possiamo ritrovare.
In questo paese, l’ho imparato, quelle che fanno paura non sono le risposte, ma le domande.
I tre racconti presentati in Hanno ucciso l’uomo ragno sono parte di un volume dal significativo titolo L’agenda ritrovata. Sette racconti per Paolo Borsellino. Si tratta di un progetto nato da un’idea dell’associazione culturale L’Orablù, che per commemorare il venticinquennale della tragica morte del giudice Borsellino, ha organizzato una staffetta in bicicletta che attraversasse l’Italia intera, da Milano a Palermo; i cicloamatori avrebbero portato con sé un’agenda rossa – come quella del giudice, misteriosamente scomparsa dal luogo della strage e mai più ritrovata – che si sarebbe riempita strada facendo con testimonianze, ricordi, esortazioni, e sarebbe stata consegnata, ad ideale risarcimento, al fratello del giudice, Salvatore Borsellino il 19 luglio a Palermo.
Contestualmente, si è voluto testimoniare il ricordo anche con il volume, composto di sette racconti inediti, scritti da altrettanti autori, da Carlo Lucarelli a Helena Janeczek, da Diego De Silva a Evelina Santangelo. I racconti non vogliono essere celebrativi, gli autori non intendono ricostruire dov’erano e cosa facevano il giorno dell’attentato; essi si limitano a narrare, come ogni buon scrittore deve fare, a costruire storie, come illustrano i due curatori, Marco Balzano e Gianni Biondillo, nelle pagine introduttive.
Così vengono fuori le vicende di Valentina Tagliaferri, pm al Tribunale di Como, detta “La Bambina” per i suoi occhi da bambola e le ballerine sempre ai piedi, che indagando sui rapporti tra Cosa Nostra e l’Emilia Romagna, si rivolge alla sola persona che potrebbe aiutarla a fare chiarezza, Paolo Borsellino, suo collega al Tribunale di Palermo; così conosciamo Helena, che scrive a Evelina e le racconta di aver conosciuto un tale Borsellino nei pressi di Gallarate e comincia ad interrogarsi sul perché egli si trovi lì, ammesso che sia un parente del giudice scomparso; mentre Antonia gira di notte in trench e pigiama per i quartieri meno sicuri della sua Napoli, fino ad imbattersi ed innamorarsi di un misterioso giovane con il quale potrebbe, forse, ricominciare daccapo…
I tre racconti sono scritti con un linguaggio estremamente efficace, sintetico e vivace, che invita alla riflessione, ciascuno con la propria voce e sensibilità. Gli autori sono ben attenti a tratteggiare i ritratti di donne dal carattere inquieto, forte, riflessivo, che non si fermano davanti a nulla. Lucarelli rivela una volta di più la sua vena da cronista, quasi da “magistrato inquirente”, con un tono asciutto e lineare; la Janeczek scrive in forma di diario rivolta ad un’ipotetica lettrice, svelando di volta in volta le riflessioni a cui perviene; De Silva appare assai più introspettivo, nel rendere l’immagine di una donna stanca ma che non rinuncia a credere che si possa vivere una vita migliore.
Approfondimento
Tre storie, tre narrazioni legate da un “filo resistente”, che si identifica idealmente nell’agenda rossa di Borsellino, “per raccontare non tanto dov’eravamo alla morte dei due magistrati, ma dove forse siamo stati in questi anni, tutti noi: chi silente, chi indifferente, chi deluso, chi vigliacco, chi sempre e comunque, ostinatamente contrario, in prima fila”. Un tentativo di avvicinare le nuove generazioni al sacrificio del giudice, per quei giovani che l’hanno conosciuto soltanto attraverso le immagini di repertorio e alle testimoniante di chi ha vissuto quegli anni. E gli autori assolvono esemplarmente a questo compito, presentando la figura del giudice non in primo piano, da protagonista, ma come un fantasma che veleggia in ogni pagina, che affiora nella narrazione, a volte citato direttamente (e talora persino presente, all’altro capo del telefono), a volte evocato, a volte apparentemente ignorato e tuttavia vicino.
In definitiva, un’esperienza utile se non necessaria, e sullo sfondo l’impegno di continuare a ricordare, poiché solo così possiamo ancora riuscire a credere che, forse, l’agenda rossa non è del tutto perduta, che, forse, può essere ancora “ritrovata”.
Roberto Del Grosso
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