
Autore: Paolo Rumiz
Pubblicato da Feltrinelli - Marzo 2019
Pagine: 174 - Genere: Letteratura di viaggio
Formato disponibile: eBook, Rilegato
Collana: I narratori

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Paolo Rumiz compie, con gli occhi del laico, un viaggio spirituale che inizia dall’Italia per poi valicarne il confine e approdare nel cuore dell’Europa. Un viaggio che unisce con un filo immaginario una costellazione di monasteri benedettini; cercando in quei luoghi, tra i monaci e nella Regola del Santo, la risposta al perché l’Europa di oggi, un’Europa che non ha mai avuto tanti problemi in comune, cerchi invece di dividersi, di ridursi in macerie.

Parte ai piedi della statua di San Benedetto, parte da Norcia il viaggio di Paolo Rumiz descritto in Il filo infinito; parte dalle macerie di un terremoto e dalla statua che lo osserva intatta, quasi a dire che la soluzione alla distruzione che l’Europa sta facendo di se stessa potrebbe trovarsi all’interno della Regola benedettina. L’autore inizia così il suo viaggio che, percorrendo circa tremila chilometri, toccherà quindici monasteri in Italia e in Europa.
Paolo Rumiz ci narra, con le sue capacità di grande documentarista, un viaggio sia fisico che spirituale, fatto di strade, ma anche di pensieri, di idee. In questo suo percorso ci conduce davanti e ci presenta monaci accomunati dalla Regola del Santo, ma differenti nel modo di praticarla, di viverla.
Lei deve capire che i benedettini non sono un ordine ma un … disordine democratico.
Ogni monastero potrà essere individuato per una sua propria caratteristica, che sia il lavoro della terra, che sia il cibo, la musica, le letture, la parola, o persino il silenzio. Ogni monastero utilizzerà le sua armi per praticare l’accoglienza e l’ospitalità e non per ultima la letizia.
Un tempo i vizi capitali erano otto, e l’ottavo era la tristezza, lo sapevi? Il buon cristiano aveva il dovere della letizia. Nel Medioevo i peccati si misuravano prima di tutto nei confronti dell’Altissimo. La tristezza era un’offesa a Dio, questo contava. Poi hanno abolito quel vizio, perché si pensava che non avesse diretta rilevanza sociale. Ci si illudeva, stupidamente, che la tristezza non influisse sul mondo … il risultato è che viviamo in un mondo incapace di relazione.
Attraverso Il filo infinito l’autore ci racconta che questi monasteri possono diventare delle vere aziende, che producono e vendono per mantenersi, e persino come questi luoghi siano frequentati da alcuni dirigenti alla ricerca di un modo per rendere più lieve la vita all’interno dell’azienda stessa.
Ma Rumiz ci conduce anche dentro un viaggio del pensiero, dentro una presa di coscienza; un viaggio fatto di continue domande, riflessioni e risposte. Il suo è un pellegrinaggio in Europa, ma è soprattutto un pellegrinaggio per ritrovare ciò che dell’Europa si è smarrito.
Perché un’Europa che è sempre stata il punto terminale di popoli diversi, oggi respinge i barconi, oggi vive lo straniero con timore e diffidenza e lo rifiuta, lo discrimina, lo respinge? Questa pare essere la domanda principale del viaggio di Rumiz e la risposta, appunto, viene cercata tra questi monaci, che hanno accolto le orde barbariche, non certo cercando di combatterle, ma civilizzandole, cristianizzandole. Cercando sempre di unire, non di dividere.
Sono riuscito persino a spiegarlo ai bimbi delle elementari. Ho disegnato loro l’Europa sulla lavagna con intorno i pericoli che la minacciano.
A nord, le lusinghe di Putin. A est, il focolaio mai spento dei Balcani e dell’Ucraina, i reticolati, i nazionalismi etnici, le mire della Cina.
A ovest, i dazi di Trump, l’autolesionismo di Brexit, la Catalogna.
A sud, il mare dei naufraghi, l’islamismo violento, le dittature, la guerra, le bombe sui civili.
Mai nella storia abbiamo avuto tanti problemi in comune, ho detto ai piccoli scolari. Poi ho chiesto: ‘In mezzo a tutto questo, voi cosa fate? Restate uniti o vi dividete?’. ‘Uniti, uniti!’ hanno gridato.
Il filo infinito è un reportage di viaggio, dove si percepisce il cammino del pellegrino alla ricerca di una meta sia esterna che interna. Dove si sente l’immersione nel paesaggio e nella natura a volte accogliente a volte un poco meno. Il lettore cammina con Rumiz sulla strada, nelle foreste, all’interno di quei monasteri e di quelle biblioteche che sarebbero piaciute a Umberto Eco e che a Il nome della rosa un poco ci riportano. Ma è al suo fianco anche nella presa di coscienza di quello che sta succedendo nel mondo e, in particolare, a un’Europa che ha abbattuto dogane e confini, ma che in fondo è più divisa di quando i perimetri erano delineati e presieduti.
Andiamo oltre, con nel cuore il dubbio che ci fosse più Europa al tempo dei passaporti.
Approfondimento
Il viaggio di Paolo Rumiz è un viaggio tra macerie e ricostruzione, o almeno desiderio di ricostruzione; tra il bianco di paesaggi innevati e il nero dello straniero visto come minaccia; tra il silenzio e il dialogo con monaci, appunto, molto diversi; ognuno dei quali ha qualcosa da raccontare e ha un modo diverso di rispondere alle domande che l’autore pone loro.
Che cos’è la vita se non un lungo filo di lana che scavalca muri, fiumi, montagne e frontiere? Quanta bella umanità ho incontrato svolgendolo nella mia vita di viaggiatore. Una folla di volti riemerge da una sequenza di incontri brevi ma indimenticabili.
E alla fine da tutti qualcosa si apprende per costruire quel bagaglio che l’autore dice essere fondamentale: un bagaglio di risposte pronte da dare a chi mette in dubbio l’Europa, la sua unità e la sua ragione d’essere; per chi vede la minaccia nell’arrivo dello straniero e non ricorda che è proprio da questi pensieri che l’Europa, non solo Hitler, ha creato Auschwitz.
A chi consiglierei Il filo infinito? Ovviamente a chi ci crede ancora, a chi vuole trovare queste risposte, a chi vuole cercare di capire il perché di tante macerie. Ma soprattutto a chi ha perso la fiducia e si sta arrendendo a un’idea di non-Europa.
Monia Merli