Autore: Franco Faggiani
Pubblicato da Fazi - Maggio 2019
Pagine: 232 - Genere: Biografico, Narrativa
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Le Strade
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Questa è la storia di Shizo Kanakuri, il primo maratoneta giapponese che partecipò a delle Olimpiadi. È la storia di una maratona che registrò il tempo record di 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti e 20 secondi. È la storia della vita di un uomo in cui corsa e natura si fondono, diventando rifugio, ma anche ingiustizia. Dono e castigo degli dei. È una storia di riscatto, di recupero dell’onore perduto, perché l’onore “Insieme all’amore è la cosa più preziosa. L’onore è un sentimento molto profondo, senza il quale non vale la pena vivere.”
Franco Faggiani prende ispirazione dalla vicenda di Shizo Kanakuri, il maratoneta giapponese che nel 1912 venne scelto dall’imperatore per partecipare alle Olimipiadi di Stoccolma. Quella era la prima volta di una delegazione giapponese alle Olimpiadi, era una questione oltre che sportiva, diplomatica, ma Shizo fallì l’impresa e non arrivò al traguardo. Da quel momento iniziò per lui una fuga dettata da vergogna e disonore. Fuga che lo porterà a cambiare nome, a nascondersi nel ventre della Legione Straniera e ad approdare, appunto, sulla collina di ciliegi, da cui il titolo del romanzo. Ma non sarà questa la sua meta finale, e fare il guardiano degli yamazakura non sarà comunque l’ultima delle sue avventure.
Insieme all’amore è la cosa più preziosa. L’onore è un sentimento molto profondo, senza il quale non vale la pena vivere.
Il guardiano della collina dei ciliegi è una biografia romanzata, dove il lettore fa fatica a capire cosa ci sia di vero e cosa sia opera dell’invenzione dell’autore. Shizo Kanakuri è esistito, il record della sua maratona è reale, ma oltre a questo il lettore si perde in una storia che intreccia la realtà di un’epoca storica e le vicende di fantasia di un uomo che, come tanti, è alla ricerca delle sue risposte e del suo cammino.
Faggiani, da bravo giornalista, ha studiato molto e bene per creare un Giappone che sia reale e tangibile a chi lo legge, a tratti il libro pare proprio scritto da un giapponese. Stesso stile lento e denso di saggezza. Asciutto (e in questo forse lo ha aiutato il suo essere, appunto, giornalista), ma ricco di particolari. La natura è descritta nella sua interezza, ma senza dilungarsi su dettagli inutili. Tutto è essenziale e tutto anche nella natura pare essere metafora della vita:
Le radici di un albero restano là dove è nato, anche se ne viene tagliato il tronco, e sotto terra continuano a cercare avidamente di aggrapparsi a qualcosa, di vivere ancora. Non a caso dai vecchi ceppi a volte nascono nuovi germogli. Noi siamo uguali agli alberi.
E la stessa corsa è un’immersione nella natura e una ricerca degli dei, dello spirituale:
Correvo senza voler dare nell’occhio e senza velleità, per mantenere con la natura quel legame che, per le incognite delle nuove giornate e l’imposizione delle regole universitarie, temevo si sfilacciasse. Correre restava la mia forma di preghiera.
Shizo ci parla in prima persona, il suo è una sorta di diario, un modo di attraversare gli eventi passando dall’intimo dei pensieri. Gli dei sono sempre presenti, la parte spirituale è determinante nelle scelte e nelle colpe. E agli dei, alla parte spirituale, a ciò che la vita gli riserva, il protagonista pare sempre abbassare il capo, accettare in silenzio, senza ribellione, come se si trattasse di un ordine dell’imperatore.
Il racconto scorre in modo lento, ma questo non è da intendersi in modo negativo, anzi è il punto di forza del romanzo, il tocco che crea immedesimazione con le vicende e il protagonista. Questo avviene specialmente quando Shizo è immerso nella natura: nella prima parte, quella dove inizia il suo amore per la corsa e nella parte sulla collina dei ciliegi, dove il tempo sembra seguire giorni identici, dettati dalle stagioni e anche le vicende personali, più o meno tragiche, paiono doversi incastrare in questo ritmo, tra i rami di questi alberi. Lo stesso viaggio per raggiungere Stoccolma, come quello finale, ha i toni del mondo che scorre dal finestrino. Il passo di chi osserva e ha tempo per farlo. Sottolineo, ancora una volta, stile molto giapponese.
Il guardiano della collina dei ciliegi è, in fondo, la storia di un uomo che deve fare i conti con il passato per riuscire ad andare avanti e superare il senso di colpa lasciato da un fallimento
Solo chi chiude i conti con il passato può riuscire a guardare oltre l’orizzonte e perdonare se stesso.
La storia, appunto, di un uomo il cui corso della vita è stato determinato da un episodio, che lo ha costretto a cambiare direzione, a cambiare prospettiva e obiettivi, ma che, comunque è riuscito a trovare la sua strada e a costruire qualcosa sul proprio terreno. La storia di un uomo in cui il caso, i kami (divinità, spiriti) e molto spesso gli incontri hanno determinato il percorso. E sarà proprio un particolare incontro a condurlo alla resa dei conti e alla svolta finale. A farlo ritornare sui luoghi dove alcuni fili erano rimasti in sospeso, per poter così ricucire il tutto.
Approfondimento
Faggiani, attraverso Shizo, ci conduce in Giappone e non solo, ci fa esplorare la natura e attraversare epoche diverse. Partiamo da poco prima delle Olimpiadi del 1912, seguiamo le vicende del protagonista che accompagniamo fino alla vecchiaia. La scrittura dell’autore si veste della delicatezza del pensiero di Shizo, un giapponese di quella generazione. Il tocco delicato di un inchino e della gentilezza, di chi chiede sempre permesso e scusa. Insomma, Faggiani si trasforma in Shizo e noi con lui.
Un romanzo consigliabile a chi ama la corsa, ma anche a chi ama il Giappone e a chi vuole fare un viaggio in un’epoca, in un mondo e in un ritmo molto diverso dall’attuale frenesia.
Monia Merli