Autore: Edith Bruck
Pubblicato da La nave di Teseo - Gennaio 2021
Pagine: 128 - Genere: Autobiografico, Romanzo storico
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Oceani
ISBN: 9788834604519
ASIN: B08SHTDM5V
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Al primo segnale di un’improvvisa amnesia Edith Bruck sa che la sua storia non può rischiare di essere dimenticata, deve essere raccontata. E la sua è la storia di una bambina ungherese, una bambina ebrea che viene strappata dalla sua ingenuità e dai suoi giochi per essere gettata prima nel ghetto e poi ad Auschwitz. Una donna che sopravvive al campo di concentramento e anche alla vita che l’attende fuori da lì.
“Forse è colpa mia, non mi trovo più bene da nessuna parte, non mi piace il mondo e non posso cambiarlo.”
Ma che, alla fine, un suo luogo riesce a trovarlo e anche una piccola favola personale.
Inizia, appunto, con il ritmo di una favola il romanzo di Edith Bruck, Il pane perduto.
Tanto tempo fa c’era una bambina…
Una bambina che gioca a piedi scalzi nel suo villaggio in Ungheria, ignara di ciò che sta accadendo nel mondo, ignara di ciò che a breve accadrà a lei e alla sua famiglia. Inizia con una narrazione in terza persona, perché le favole si raccontano così: con il distacco di qualcosa che è così lontano nel tempo da non essere più reale.
Poi arriva il viaggio verso il ghetto prima e verso il campo di concentramento dopo. E la bambina che giocava a piedi scalzi deve diventare adulta, come la narrazione che passa dalla terza alla prima persona, quasi a volersi calare nella realtà. Quella bimba ha dovuto aprire gli occhi.
Nessuno avrebbe potuto dire se il viaggio stesse durando molto o poco, il tempo reale, come la mia infanzia, era sparito e quello interiore ciascuno lo viveva solo secondo i propri sensi.
Io volevo tornare nella pancia della mamma e non nascere mai più.
Ma quella donna sopravvive ai campi, sopravvive ai nazisti e ritorna, insieme alla sorella in un mondo che non riconosce più, un mondo che pare non appartenere più a loro, o loro non appartenere a quel mondo. Perché chi non ha vissuto l’esperienza del campo di concentramento non può capire cosa ha passato chi quell’esperienza ha attraversato
Tra me e Judit scambiammo un dialogo muto come per dire che tra noi e chi non aveva vissuto le nostre esperienze s’era aperto un abisso, che noi eravamo diverse di un’altra specie.
E così quella donna inizia a fuggire da un luogo all’altro, nella ricerca di un posto dove potersi fermare. Di un posto da sentire suo. E, alla fine, quel luogo lo troverà anche, come troverà il suo grande amore, il poeta e regista Nelo Risi con il quale avrà una storia che durerà più di sessant’anni. E di quel luogo vorrà sposare persino la lingua.
Finalmente ripresi in mano il mio quadernetto, che avevo abbandonato, e ho iniziato a scrivere in italiano, così: «Sono nata in un piccolo villaggio ungherese…»
Perché quella donna ha sempre avuto il desiderio di scrivere
Volevo fare di tutto e fino ad allora avevo fatto soltanto quello che potevo e non l’unica cosa che volevo: scrivere… un libro, un diario, ma non avevo più preso la matita in mano… da quando non scrivevo?
Può una storia così importante, così ricca, così parallela alla Storia con la “S” maiuscola, essere raccontata in centoventotto pagine? Possono entrare in centoventotto pagine novant’anni di vita? Sembra impossibile, ma Edith Bruck nel Il pane perduto fa proprio questo. Vola con tocco veloce sulla sua vita, sulla vita di un popolo che ha subito la Storia; lo fa accennando dettagli, lo fa non dilungandosi mai troppo su nulla. È una scrittura quasi scarna la sua, tanto che ti verrebbe da dire, ma fermati, raccontami, dimmi altro… È una sorta di diario raccontato a un pubblico, dove lo spazio è definito dalle righe delle pagine e dove, forse, non serve raccontare di più.
Il pane perduto è la “favola” di una bimba innocente che viene mandata nel bosco, che in quel bosco vive l’incubo, e che da quel bosco esce adulta, esce ferita. Ma è anche la “favola” di una donna che su quelle ferite, su quelle cicatrici, riesce a costruire il suo futuro. Una donna che non si arrende mai e non si piange mai addosso e che, alla fine, riuscirà a diventare protagonista di una sua piccola favola personale.
Approfondimento
Se mi chiedessero qual è il mio passaggio preferito del romanzo di Edith Bruck, non avrei esitazioni e risponderei la Lettera a Dio, quella lettera scritta quando la vista ormai se ne sta andando a chi a quella lettera non risponderà mai.
Noi non abbiamo né il Purgatorio né il Paradiso ma l’Inferno l’ho conosciuto, dove il dito di Megele indicava la sinistra che era il fuoco e la destra l’agonia del lavoro, gli esperimenti e la morte per la fame il freddo.
Quelle domande che una novantenne porge a quel Dio al quale si era rivolta bambina. Quelle domande che non sono mai cambiate.
Mi chiedo da sempre e non ho ancora la risposta a che servono le preghiere se non cambiano niente e nessuno.