
Autore: Pierre Michon
Pubblicato da Adelphi - Giugno 2020
Pagine: 76 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura
Collana: Piccola biblioteca Adelphi
ISBN: 9788845934759

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Una donna che appare come luce ai suoi occhi, capace di trasportarlo in un mondo immaginario di sensualità e pace.

Osavo pensarlo, che potesse essere mia? Sì, forse lo pensavo, e furiosamente, ma poteva esserlo soltanto per un miracolo, appena un po’ più sorprendente, dopotutto, di quello che rendeva possibile che lei esistesse, a Castelnau, e che facesse nascere pacchetti di Marlboro da una mano divina. Ero in quell’età in cui crediamo di non avere niente da dare, niente per ricambiare simili ricchezze, le cosce e i seni, gli zecchini d’oro e il fruscio delle gonne, niente, e di certo non quella cosa disdicevole che ci cresce esuberante sul ventre.
Era il 1961 quando il protagonista di La grande Beune fu chiamato in servizio per svolgere il suo primo impiego nel borgo di Castelnau; era un insegnante di bambini di seconda elementare. Era una sera di pioggia quella che lo portò alla pensione Chez Hélène, l’unico albergo sotto il quale scorre la Grande Beune. Arrivato lì si sentì come trasportato in un passato indefinito che gli dava una strana sensazione quasi di terrore, data dall’intonaco rosso, dall’odore di salnitro, dal silenzio che veniva rotto da bevitori che erano pescatori e cacciatori e anche dalla presenza di una volpe impagliata appena sopra il bancone. Viene messo in risalto come tutti questi elementi servirono quella sera a trasportarlo in un mondo diverso, non a caso Pierre Michon definisce questi bevitori come dei “traghettatori”.
Hélène era vecchia e massiccia e le somigliava alla Sibilla cumana, la quale molto gentilmente, nonostante i fornelli fossero già spenti, gli offrì qualcosa da mangiare. Definiva i suoi alunni come “piccoli corpicini” che correvano anche sotto la pioggia e a ognuno di loro iniziava ad attribuire il giubbotto nell’attaccapanni.
Il protagonista crede nelle bellezze a prima vista e fu così che si invaghì della tabaccaia di Castelnau, Yvonne, quando per la prima volta la vide dietro il bancone, con le braccia nude; la definisce come “puro latte” poiché era bianca e alta, con la vita stretta. Già la prima visione di lei fece scaturire in lui pensieri abominevoli, alcuni dei tratti distintivi della donna erano i suoi zecchini d’oro alle orecchie che si muovevano in modo soave ad ogni suo movimento, i grandi tacchi che sempre portava e le unghie smaltate.
Così il nostro protagonista si recava ogni giorno a comprare Marlboro e a fingere una passione per i giornali che poi andava ad accatastare nella sua stanza. Ad accentuare i suoi pensieri animaleschi è un’uscita alle grotte che si trovano a Lascaux, i cui i segni e le pitture che vi si trovano dentro non fanno altro che alimentare le sue ossessioni, alle quali contribuiscono i bambini offrendo pietre al maestro. Ad alimentare infine l’ossessione per Yvonne è anche il fatto che uno dei suoi alunni è proprio il figlio della donna, con cui poi avrà a che fare.
Approfondimento
Ciò che più mi stupisce in La grande Beune è la leggerezza e il modo con cui Pierre Michon parla del linguaggio del piacere. Esso descrive minuziosamente cosa prova l’uomo, soggetto ad una forza irrefrenabile, ovvero quella dell’amore. Ma soprattutto sviscera ogni sensazione che il protagonista prova; a partire dai suoi pensieri che talvolta definisce “animaleschi” o dalle sue immaginazioni, poiché sogna incontri con lei nel bel mezzo della natura.
La sensualità che Yvonne esprime, descrivendo i suoi tatti distintivi e i suoi modi di fare, è l’argomento cardine della narrazione, come un’ossessione.
Francesca Incardona