
Autore: Antonio Tabucchi
Pubblicato da Mondadori - Novembre 2022
Pagine: 180 - Genere: Narrativa Italiana
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Oscar moderni. Cult
ISBN: 9788804752929
ASIN: B0BKKC36F4

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Una madre malinconica e distante, che ascolta sul grammofono Amado mio; un padre fotografato col braccio eternamente teso; uno zio che colleziona bambole; uno scantinato dove è avvenuto qualcosa di terribile. E poi un'Aprilia rossa, un pianoforte, un topo morto. Infine Duccio, detto Cino, un ragazzino che scopre il lato più turpe della vita e cerca di scongiurarlo, con i mezzi che ha. Per esempio scrivendo a Capitano Nemo...

Il vecchio piano scuro non suona più da tempo. Copre l’avorio ingiallito un lungo panno verde bucherellato dalle tarme e, quando si apre l’astuccio della tastiera esso geme sulle cerniere.
Duccio, detto Cino, è un ragazzo divenuto adulto sin troppo in fretta. Orfano di padre, è il protagonista di una storia, anzi di una famiglia che abita una vecchia villa sulla costa toscana e che si prepara ad affrontare un Capodanno degli anni Cinquanta del Novecento. Una famiglia comune che vive l’Italia del Dopoguerra e che nasconde un segreto importante, peso ingombrante per Duccio, che trova in Nemo, un amico con il quale intrattenere una corrispondenza epistolare univoca. Duccio infatti scrive, ma Nemo non risponde. Non risponde perché immaginario o non risponde perché Duccio non spedirà mai le sue lettere? Nemo comunque diviene il pilastro dei suoi turbamenti. Ora Duccio ama Nemo; ora Duccio odia Nemo che definisce stronzo, maiale, pezzo di merda, porco fottuto; ora Duccio chiede aiuto, cerca consiglio, trova riparo e conforto con il suo silente capitano.
Cerca di farmi sapere – scrive Duccio- che dal tuo oblò si vede la vita, e che tu la capisci, Nemo, come non so capirla io.
Dall’oblò di un sottomarino, a un topo morto, a una piovra dai lunghi tentacoli, ad una madre scostante e triste che ascolta da un grammofono A modo Mio e Grazie dei fior, a Forese, uno zio sui generis, a un’Aprilia rossa, un pianoforte e poi lei, La Flora, pesante e arcigna, sempre vestita di nero, che spacca la legna in cucina, traffica in silenzio ai fornelli e che chiama Duccio nel modo in cui non si conviene chiamare un signorino: Cino. Un momento è infatti fanciullo che scalzo, in punta di piedi, in un pomeriggio d’estate affogato dal rumore delle cicale, percorre le scale della sua villa fino a giungere a una porta.
È nel momento immediatamente successivo, quando cioè varca la soglia di quella porta che diventa Duccio, determinandosi una metamorfosi fugace della sua persona cui si assiste poi in tutti i brevissimi capitoli di cui è composto Lettere a capitano Nemo. Nella sua struttura anticonvenzionale e nella lettura complessa, per nulla lineare, intrisa di dinamiche, digressioni, flashback, Tabucchi crea di fatto due storie: l’una è la vita reale di Duccio, la vita nella villa con la sua ambigua famiglia che lui si limita ad osservare, mantenendo un composto distacco, senza mai reagire all’eccentrico zio Forese, la cui personalità spicca in maniera pregnante tra le pagine del libro, come a voler dare voce ai silenzi di Duccio che però, in quanto silenzi, tali restano e nessuna risposta offrono alle vicende in cui è fortemente coinvolta la sua figura di nipote.
L’altra è la vita vera di Duccio che si dissocia da una realtá a cui sa di non appartenere, una realtà che non ha scelto, ma che vive perché nato in quella villa sulla costa toscana. Duccio è vita quando parla con Nemo, quando crea questo ponte invisibile di parole che collega il suo pensiero razionale con la sua essenza. È tanto protagonista imperante e dominante quando scrive a Nemo, quanto personaggio secondario, dai contorni sfumati sugli episodi familiari cui assiste.
Questa bipartizione è anche strutturale e attraversa non poche traversie editoriali. È persino rifiutata dal suo stesso autore che per anni dichiara di averla distrutta. Se una prima parte interseca due storie, in una seconda parte, a poco più di metà dell’opera, ecco riportati i frammenti, i pensieri veri dell’autore, i suoi fogli sparsi custoditi nei cassetti del suo studio, quelle parole apparentemente scritte e sconnesse tra di loro, in verità tutte collegate da un fil rouge: l’autenticità.
È come se quindi Tabucchi scrivesse per sé stesso e non per potenziali lettori tanto che in postfazione si legge che lo stesso autore, difendendo il diritto di essere uno scrittore per pochi, ammette di scrivere per sé stesso perché immagina sé, e non altri, come lettore ideale.
Dunque in questa seconda parte costituita da frammenti sparsi, da fogli di agenda scritti di pugno da Tabucchi, si arriva pienamente a comprendere il senso di una storia che non deve essere scritta, studiata, collegata, cucita e rilegata, come un classico romanzo, ma deve essere preservata dai filtri che normalmente la forma stilistica e linguistica di un romanzo, richiede. È cosí autentica nella sua assenza di connessione, nel suo linguaggio complesso, nel suo contenuto, nella sua dispersione. Nulla è lasciato al caso e ogni parola presente fluttua con il suo Nautilus in una dimensione spazio- tempo che detta unicamente il protagonista: Duccio.
Duccio è Antonio Tabucchi: voce narrante e voce autrice coincidono perfettamente. La condivisione del pensiero del protagonista e di quello dell’autore è così intima, così profonda che sembra di leggere le pagine di un diario che l’autore gelosamente teneva al riparo da occhi indiscreti, forse per timore di esser davvero letto nella profondità del suo pensiero, del suo animo.
Approfondimento
Lettere a capitano Nemo è un potenziale romanzo dai toni cupi, parzialmente leggibile, intriso di toscanismi la cui vicenda editoriale travagliata é stata ricostruita ad opera di una studentessa, Thea Rimini che, a partire dai fogli sparsi conservati presso il fondo Antonio Tabucchi della Bibliothèque Nationale de France, menziona l’autore in un fascicolo di Filologia e critica. È una storia che si arena, dal finale aperto e che segna il passaggio da Tabucchi trentenne che lotta per l’affermazione di questa sua opera difendendola con sarcasmo ed ironia dalle critiche editoriali, al Tabucchi che affida al vento le pagine di una proposta editoriale che, quando arriverà, sarà lui stesso a rifiutare, gesto che segna il passaggio dal giovane al Tabucchi dell’età matura.
Sebbene infinite le sfumature della penna tabbucchiana e coglierle tutte è un gioco alla sensibilità, profondità ed emotività del lettore non ho apprezzato la ricostruzione della prima parte del romanzo. Per ogni pagina letta, ne guardavo il numero. Volevo solo terminare la lettura nel più breve tempo possibile e ho faticato molto a comprendere come la narrazione o meglio, come le vicende narrate, si intrecciassero (se mai di intreccio si possa parlare), per il distacco stilistico e contenutistico tra le stesse, come se di fatto dunque leggessi due racconti che hanno in comune solo due nomi: Duccio e Nemo.
Per questo, se l’opera avesse mantenuto questo distacco sino all’ultima pagina, in una scala dal numero uno al numero cinque avrei dato uno e mezzo. La seconda parte del libro, Altre lettere a Capitano Nemo – scansione strutturale che da lettrice ho così inteso – ha rallentato il mio ritmo di lettura. Ne ho goduto. Ho goduto perché le parole scritte di pugno dall’autore su fogli sparsi son state riportate su carta stampata senza nessuna opera di ricucitura del tessuto stilistico, linguistico e contenutistico e questo consente a chi legge di apprezzarne la autenticità del pensiero di Antonio Tabucchi, come se si instaurasse un dialogo tra pensieri scritti del lettore e pensieri silenti del lettore.
Ne consiglierei dunque la lettura?
Direi piuttosto: Ai futuri lettori l’ardua sentenza!
Ylenia Giordano