
Autore: Pierre Lemaitre
Pubblicato da Mondadori - Giugno 2016
Pagine: 226 - Genere: Romanzo psicologico
Formato disponibile: Brossura
Collana: Scrittori italiani e stranieri

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Antoine fissa sconvolto il corpo esanime del piccolo Rémi. Gli si avvicina con diffidenza, cerca il battito, cerca il respiro, ma ciò che trova è solo silenzio. Un angosciante silenzio. Antoine afferra allora il braccio del bambino, nell’ultimo, disperato tentativo di rianimarlo; ma non c’è nulla da fare, Rémi è morto. Il panico e la paura pervadono Antoine. Tormentato da mille interrogativi, si rende conto che c’è solo una cosa da fare: nascondere quel corpo e assicurarsi che non venga trovato. Mai.

È il 1999 e il dodicenne Antoine, figlio di genitori divorziati, vive solo con la madre a Beauval, una piccola cittadina francese, dove tutti gli abitanti si conoscono e i fatti personali di ciascuna famiglia non mancano di passare per la piazza. Antoine è un ragazzino felice. Dopo la scuola, ogni pomeriggio si diverte a giocare con i compagni di classe nel bosco di Saint-Eustache, soprattutto con la bella Émilie, di cui è segretamente innamorato. Ma un giorno un terribile evento calpesta irrimediabilmente la felicità di Antoine: l’avvento della Play Station. I ragazzi del quartiere cominciano ben presto a passare il tempo libero chiusi in casa, incollati al televisore, con un joystick tra le mani. Tutti, tranne Antoine. Sua madre, Blanche, una donna frustrata e di mentalità ristretta, proibisce categoricamente al figlio di giocare ai videogame: diseducativi e altamente pericolosi. Antoine, sconsolato, comincia un lungo periodo solitario che decide di sfruttare per costruire una casetta sull’albero nel bosco di Saint-Eustache. A fargli compagnia c’è Ulisse, il cane dei Desmedt, suoi vicini di casa, a cui il dodicenne si affeziona moltissimo. Un terribile giorno però, Ulisse viene travolto da un’auto rimanendo ferito a una zampa; il signor Desmedt decide di non chiamare un veterinario e, sotto lo sguardo esterrefatto di Antoine, fredda l’animale con un colpo di fucile.
Scosso, il dodicenne corre a rifugiarsi nel bosco, dove si lascia andare a un lungo pianto sommesso. Il piccolo Rémi Desmedt, di sei anni, decide allora di seguire Antoine, inconsapevole delle cose terribili che stanno per accadere. Cose che tormenteranno Antoine per tutta la sua vita.
Tre giorni e una vita è un lungo e doloroso esame di coscienza. Lemaitre non si interessa alla trama, ma ai suoi personaggi, che utilizza alla stregua di oggetti di studio. Li inserisce in un contesto scomodo e macabro per poi chiedersi quali potrebbero essere i loro pensieri e i loro comportamenti. L’autore avvicina una lente d’ingrandimento sui sentimenti umani più oscuri, indagando la parte più spietata che si cela in ognuno di noi.
Approfondimento
La narrazione prende corpo attraverso lunghi periodi ipotetici, che tuttavia rendono pesante e noiosa la lettura. L’autore, infatti, si appella compulsivamente al condizionale per dar forma ai fantasmi di Antoine che, con le mani sporche quanto la propria coscienza, è tormentato non tanto da quello che ha fatto ma da quello che gli potrebbe accadere.
Lemaitre padroneggia le proprie conoscenze di ordine psicologico, dimostrando una grande abilità nella comprensione dell’animo umano. Terribilmente vero risulta il ritratto di una madre che decide di non vedere, di rendersi cieca davanti ad una verità spaventosa. L’atteggiamento stesso di Antoine, così cinico e metodico nonostante la giovane età, spiazza il lettore per la sua concretezza.
La verità che l’autore schiaffa in faccia a chi decide di affrontare questo romanzo è solo una e riguarda la capacità di giudizio. È semplice dire a priori cosa è giusto o cosa è sbagliato, giudicare una persona o ipotizzare cosa si sarebbe fatto al posto di qualcun altro. Tutto questo però è destinato inevitabilmente a crollare, a sgretolarsi, quando si vivono le situazioni in prima persona. Il ciarlare, i giudizi, la morale, dove vanno a finire quando i fatti toccano la nostra pelle? Attraverso Tre giorni e una vita, Lemaitre prova a darsi delle risposte, non come giudice ma come silenzioso osservatore.