Autore: Laia Jufresa
Pubblicato da SUR - 11/05/2017
Pagine: 247 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: eBook, Rilegato
La giovane Ana ha un progetto: trasformare il cortile di casa in una milpa-giardino. Per un’estate, il tradizionale campo estivo in compagnia della nonna Emma e dei fratelli è sostituito dal desiderio di dare vita ad un sistema di coltura ecologica di mais, zucca e fagioli. Ma è un’estate che chiede ad Ana di ripensare al passato, a coloro che hanno scelto di fuggire e a chi è stato costretto dal destino ad andare via per sempre.
“Una cosa che impari allora: l’industria del regalo può senz’altro americanizzarsi per Natale, Pasqua, o la nascita di un bambino, ma in caso di morte ci si appella alla tradizione messicana.”
Ana vive a Città del Messico ma della metropoli e dei suoi quasi nove milioni di abitanti noi vediamo solo una minuscola parte, un comprensorio costituito da cinque appartamenti e una campana: Villa Campanario. Ana abita qui, insieme ai genitori e a due fratelli. L’ultima nata, la piccola Luz, è morta tre anni prima. A casa di Ana si respirano il lutto e le strategie che ognuno ha messo in atto per provare a reagire, superando la perdita. Ma come si fa ad andare avanti e a convivere con l’idea di quella bambina che non potrà mai diventare donna? È difficile continuare a dare un senso alle cose quando la vita ti ha dimostrato che, a volte, tutto può saltare in aria senza motivo o preavviso.
Ana ha deciso di concentrare le sue energie sulla realizzazione di una milpa: un sistema di coltura molto diffuso in America centrale che prevede la coltivazione di tre piante sullo stesso terreno. È il suo progetto. È stato un vicino, Alfonso Semitiel, ad ispirare Ana: in passato lui stesso aveva dato vita ad una “Milpa Migliorata”. Ma ora anche lui sta affrontando un lutto, quello per la perdita della moglie Noelia. Ed è l’occasione per rievocare il passato, riportando in superficie episodi e sensazioni, scelte e sbagli. E la decisione di non avere figli, vissuta un tempo come giusta e incontrovertibile, ora inizia a pesare su di lui come un macigno. Alfonso non può tornare indietro ma può cercare di far rivivere la donna che ha amato attraverso le parole digitate sulla tastiera di un computer. È questo il suo modo di affrontare il dolore: la sua strategia per sentirsi meno solo.
A Villa Campanario ci sono altre due case e anche in queste si percepisce una sensazione di vuoto. Per Pina, la migliore amica di Ana, il vuoto è provocato dall’assenza della madre. Chela ha deciso di andare via, lasciandosi tutto alle spalle. Si è separata dalla figlia e dal marito senza voltarsi indietro. La sua è la mancanza di chi, decidendo volontariamente di fuggire, ha aperto una voragine fatta di interrogativi e paure. Chi è andato via non ci amava abbastanza? È colpa nostra? Cosa si è rotto senza che noi ce ne rendessimo conto?
La quarta casa è quella in cui abita Marina, una giovane pittrice. Marina ha lasciato la sua famiglia per trasferirsi a Città del Messico. Anche in questo caso è lei ad essere scappata. Ma da chi o da cosa? Forse dal passato? O da sé stessa? Ma è sufficiente percorrere una manciata di chilometri per allontanarsi dai propri fantasmi?
Questa è Villa Campanario, con quella sua bizzarra conformazione a forma di lingua in cui ad ogni abitazione corrisponde uno dei quattro sapori percepiti dal senso del gusto: amaro, acido, salato e dolce. Ma allora cos’è l’umami? L’umami è “il quinto sapore che le nostre papille gustative percepiscono”, capace di saturare il gusto senza per questo lasciarsi distinguere. È il sapore che contiene tutti gli altri, “oscillando con soddisfazione tra il salato e il dolce”. L’umami è forse, in fondo, la metafora perfetta di ciò che ognuno di noi cerca di trovare nella propria vita.
Approfondimento
La lettura di Umami ci trasporta in uno Stato lontano ma del frastuono assordante e inquinato della sua capitale non percepiamo che un’eco sbiadita. È il piccolo comprensorio ad accoglierci e con lui le personalità strane e sfaccettate che lo popolano. Quello che abbiamo tra le mani è un romanzo delicato ma vivo. Ascoltiamo personaggi fragili e persi, cui vorremmo offrire un aiuto. Ma da quella fragilità, da quel senso d’impotenza e oppressione, siamo come ipnotizzati. Spesso non capiamo, siamo confusi e un po’ straniti. C’è qualcosa che, come l’umami, resta incerto e non definibile. Qualcosa che ci sfugge, rifiutando di lasciarsi catturare. Ed è forse proprio questo che ci affascina e commuove.