
Autore: Katharina Volckmer
Pubblicato da La nave di Teseo - Gennaio 2021
Pagine: 176 - Genere: Narrativa
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Oceani
ISBN: 9788834604595

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“Scaltri com’erano a livello mediatico, ritengo che i nazisti abbiano davvero perso una grande opportunità di marketing, pensi quanto si sarebbero potuti divertire i piccoli tedeschi se avessero avuto un campo di concentramento della Lego chiamato Freudenstadt – costruisci il tuo forno, organizza le tue deportazioni e non dimenticarti di conquistare abbastanza Lebensraum.”
Un irriverente, ininterrotto e illogico flusso di pensiero che farà ridere, storcere il naso, ma anche riflettere.

Londra, studio del dottor Seligman. Una voce, perché null’altro sappiamo della protagonista di Un cazzo ebreo, prende la parola per non lasciarla più, in uno dei libri forse più trasgressivi degli ultimi anni.
La trama è fin troppo facile da riassumere. Anzi, potremmo dire che il libro non ne vuole una: la voce della protagonista, donna tedesca trasferitasi in Inghilterra, racconta di sé, della propria vita, dei propri pensieri e sentimenti senza il minimo ordine logico, desumendo gli argomenti per giustapposizione, saltando da un pensiero all’altro. Sigmund Freud avrebbe buon materiale di studio se potesse analizzare un tale flusso di pensiero: tutti gli amori passati, il difficile rapporto con i genitori, l’odio (ma anche amore) per una madre troppo amorevole e l’opposto amore (ma anche odio) per un padre sempre malato e incapace di prendersi cura della famiglia; profonde riflessioni femministe contro una società dominata da “chi il cazzo ce l’ha” che opprime e reprime “chi il cazzo non ce l’ha”, e poi lunghe digressioni sui sogni erotici che la protagonista fa immaginando di avere un rapporto sessuale con Hitler.
Katharina Volckmer sa toccare i punti più deboli, le ferite più scoperte della nostra modernità con un’irriverenza senza pari: il grande buco nero del nazismo e della shoah assume connotati nuovi, raccontato com’è dalla voce di qualcuno che non ha intenzione di adeguarsi alle convenzioni vigenti. Hitler diventa il soggetto dei sogni erotici della nostra protagonista, l’amore materno si trasforma in qualcosa da cui stare alla larga, quello paterno una sfida da vincere per essere riconosciuti nel mondo e da sé stessi. L’amore si fa sentimento contorto, fatto di oppressori ed oppressi, e il pene diventa emblema del controllo, dell’oppressione e dell’ingiustizia che affligge l’umanità.
Eppure, l’irriverenza di Katharina Volckmer sa essere anche un ottimo spunto per profonde riflessioni su di noi, sul nostro presente tanto complesso da comprendere, sulla nostra società sempre più libera ma sempre più oppressa da etichette, giudizi, sguardi indagatori.
E allora si scorge, dietro a questo flusso irrelato di pensieri, il tentativo di superare tutti quei traumi che l’uomo moderno, come singolo e come comunità, si porta dietro fin dal secolo scorso, tutto quel non detto che si è ormai trasformato in un tabù socialmente accettato e relegato all’angolo, ma che ancora oggi rende infernale la vita di tutti noi.
La sessualità, le atrocità perpetrate durante la Guerra, l’affettività, la libertà di espressione di sé diventano i grandi nodi attorno a cui questo romanzo, capolavoro di dissimulazione, ruota per tutte le sue pagine.
L’abilità della scrittrice però è proprio questa: saper nascondere, mascherare, alleggerire questi pensieri dietro un fitto muro di ironia, satira, salace umorismo.
Un libro, questo, che va letto per comprenderci davvero, e per iniziare a porci le domande corrette.
Approfondimento
Per chi volesse un romanzo tradizionale, è meglio abbandonare la lettura di Un cazzo ebreo. Katharina Volckmer sembra voler qui voler porsi sulla scia del flusso di coscienza di James Joyce, scrivendo un libro che, anche graficamente, si presenta come un serrato monologo della protagonista.
Non un punto a capo, non un cambio di capitolo o di paragrafo: le parole scorrono l’una dopo l’altra senza che il lettore possa trovare nella struttura del testo un punto di riferimento cui ancorarsi.
L’aspetto grafico richiama perfettamente il contenuto di cui è portatore: non c’è logica nel giustapporsi dei pensieri della protagonista, che salta da un argomento all’altro, per abbandonare a metà discorsi che verranno ripresi molte pagine più avanti.
L’ambientazione non è chiara, la trama è assente, i nomi spesso ridotti a cognomi o iniziali puntate. L’esperienza individuale si fa così generale: tutti noi potremmo trovarci al suo posto, dire le stesse sue parole, forse anche fare gli stessi, scabrosi pensieri. Katharina Volckmer ci permette quindi di sfogare il nostro io più recondito, cinico e crudele, prendendosi la responsabilità di esplicitare il disagio di un’intera generazione.