Autore: Zita Dazzi
Pubblicato da Feltrinelli - Maggio 2021
Pagine: 144 - Genere: Attualità / Reportage, Narrativa Italiana
Formato disponibile: Brossura, eBook
ISBN: 9788807910661
ASIN: B08YDY8ZDD
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“Mamma, aiuto! Ci stanno portando via sul pullman. L’autista ci minaccia con un coltello. Dice che darà fuoco allo scuolabus. Dice che dobbiamo morire. Tutti. Come sono morte le sue figlie”
La madre di Samir pensa si tratti di uno scherzo, ma non lo è. L'uomo che stava accompagnando la classe ha sequestrato i ragazzi e ha intenzione di dare fuoco all'autobus in segno di protesta contro le morti dei migranti nel Mediterraneo. Ha già versato la benzina ovunque e sequestrato i telefoni di tutti. Solo Samir e Benjamin trovano un modo per non consegnarli, così riescono a chiamare i soccorsi, e i carabinieri possono intervenire in tempo. Mentre assistiamo all'atto eroico di questi ragazzi facciamo un salto indietro per scoprire chi è davvero Samir, il protagonista di questa storia dedicata al milione di ragazze e ragazzi immigrati di seconda generazione, nati e cresciuti in questo paese, che aspettano di diventare cittadini italiani.
Zita Dazzi, giornalista e scrittrice italiana, ha tratto da una recente notizia di cronaca la trama per il suo libro Volevo essere un supereroe, edito da Fetrinelli.
Il 20 marzo 2019, vicino a San Donato in provincia di Milano, un uomo sequestrò 50 bambini, due professori e una bidella della scuola media Vailati di Crema per protestare contro la politica migratoria italiana. Voce narrante è proprio uno dei ragazzini sequestrati, di origine egiziana, la cui vicenda personale è frutto della fantasia dell’autrice.
La narrazione non è lineare, alternativamente si passa dal raccontare, con un linguaggio e uno stile di scrittura semplice e immediato, la vita normale di un ragazzino che lotta per realizzare i suoi sogni, ai “frames” di quel viaggio del terrore, realmente accaduto e che ha costituito una triste pagina di cronaca italiana. Sembra quasi di leggere due libri in uno. Ciò, tuttavia, non disturba, al contrario, l’autrice con questo espediente narrativo crea un contatto, un avvicinamento alle vite normali di questi ragazzini che in un giorno qualunque si sono trovati coinvolti in un sequestro per scopi politici.
Lo scopo dell’attentatore era quello di condizionare i pubblici poteri e l’opinione pubblica in materia di accoglimento degli stranieri, intimidendo la popolazione con un’azione “plateale” in modo da generare panico nelle persone e aprire le coscienze.
I ragazzini, sotto minaccia e privati dei loro cellulari, cercavano di attirare l’attenzione degli ignari automobilisti che li affiancavano o superavano, gridando e battendo sui vetri. Solo con la prontezza e la lucidità di alcuni, tra cui la voce narrante del libro, si riesce a evitare il peggio e concludere quel viaggio di quaranta minuti di terrore prima che l’autobus venga avvolto dalle fiamme.
Questa vicenda ha suscitato molto clamore non solo nell’opinione pubblica, soprattutto per il timore che la situazione potesse evolvere tragicamente, ma anche nella classe politica. Infatti, dopo numerose sollecitazioni e consultazioni, il Consiglio dei Ministri ha deciso finalmente “di concedere”, ai ragazzini che riuscirono a dare l’allarme, la tanto agognata cittadinanza italiana per meriti speciali.
Proprio la concessione della cittadinanza è il nodo centrale del libro. Zita Dazzi vuole dare voce a tutti quei bambini e bambine, figli di stranieri, che frequentano le scuole italiane, palano la lingua italiana ma che non sono riconosciuti come cittadini del paese nel quale sono nati o arrivati da piccolissimi e del quale rispettano le tradizioni e le leggi: “mio padre dice sempre che prima o poi avremo la cittadinanza tutti. Ma quando arriva questo “prima o poi”?”
Da queste pagine si evince il rammarico e la sofferenza di questi ragazzi che si trovano in un vero e proprio limbo giuridico: non possono viaggiare, partecipare alle gite scolastiche, partecipare a competizioni agonistiche.
Il libro si conclude con una riflessione amara del protagonista che lascia molto riflettere sulla farraginosa macchina burocratica: “e io mi chiedo tutti gli altri come me, tutti gli altri nati qui, che parlano la stessa lingua e mangiano gli stessi spaghetti, che tifano le stesse squadre e sognano lo stesso futuro… ecco, io mi chiedo quali atti di “eroismo” si dovranno inventare per ottenere i lori diritti”.
Approfondimento
La nostra Zita Dazzi, raccontando questa storia, ha voluto richiamare l’attenzione dei lettori su un aspetto molto discusso in Italia e che incide sulla vita di migliaia di persone con cui viviamo ogni giorno a stretto contatto. Parliamo del sistema vigente nel nostro paese per l’ottenimento della cittadinanza.
In Italia si segue il principio dello ius sanguinis; ma se sei figlio di stranieri e nasci in Italia o vi arrivi in tenera età dovresti dovrebbe aspettare i 18 anni o aver soggiornato ininterrottamente in Italia per 10 anni prima di poter richiedere la cittadinanza, e a quel punto aspettare altri 4 anni (e sperare che la domanda non venga rigettata) prima di poter essere ufficialmente considerato “cittadino italiano”.
Si parla insomma di un sistema farraginoso e dispendioso in termini di soldi e di tempi di attesa, che di fatto tratta in modo ineguale i residenti in Italia, privando alcuni di loro di diritti (un su tutti, il diritto di voto) e possibilità (partecipazione a concorsi e bandi Erasmus, o di fare semplici viaggi all’estero anche nell’UE, solo per fare gli esempi più banali), ma lasciando in piedi tutti i doveri del caso.
Consiglio vivamente Volevo essere un supereroe perché è foriero di grandi riflessioni, suscita nel lettore empatia e senso di giustizia: Se la cittadinanza è il modo che ha lo Stato per riconoscere chi è completamente integrato, perché riconoscerla solo in virtù dell’albero genealogico, ma non a chi nasce, studia, lavora, ama in Italia? Non ci resta che aspettare che la burocrazia italiana si sblocchi e come dice amaramente il nostro protagonista “magari un Giorno sarà tutto diverso e sembreranno lontano questi tempi, in cui uno deve aspettare di diventare un eroe per diventare anche cittadino del posto in cui è nato. Del paese di cui parla la lingua e di cui tifa la squadra di calcio”.
Rosaria Faeta