Autore: Roman Senčin
Pubblicato da Fazi - ottobre 2017
Pagine: 268 - Genere: Narrativa Contemporanea, Narrativa russa
Formato disponibile: eBook, Rilegato
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C’è un attimo in cui tutto cambia: l’attimo in cui si è costretti a dire addio al susseguirsi di giorni uguali e prevedibili. Per la famiglia Eltyšev quel momento coincide con il trasferimento nel piccolo centro di Muranovo, nella vecchia catapecchia dell’altrettanto anziana zia Tanja. Sarà un nuovo inizio o solo un modo alternativo per scrivere la parola “fine”?
“Perché mica si poteva piangere tutti in coro, strapparsi i capelli e infilare la testa in un cappio, no?”
“Tutte le famiglie felici sono simili, ma ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.” Forse basterebbe questa frase, l’incipit con cui Tolstoj introduce le vicende di Anna Karenina, per sintetizzare la vita degli Eltyšev. Ma cosa si nasconde dietro ogni singola infelicità? Cosa provoca quel sentimento d’impotenza e resa? È il protagonista di questo romanzo, Nikolaj Michajlovic Eltyšev, a rispondere. Per lui ogni cosa è “così e così sarà ma può sempre andare peggio…”. Un inno al pessimismo? Un realismo straziato? O è solo l’esperienza a far parlare così Nikolaj? E allora guardiamola in faccia la sua esperienza, quella vita che l’ha piegato fino quasi a spezzarlo.
Nikolaj era uno dei sorveglianti in uno dei luoghi di detenzione per ubriachi e disturbatori della quiete pubblica. Durante un turno, a causa di una grave negligenza, perde il suo lavoro. È questo il momento in cui tutto cambia: il momento in cui riprendere in mano la propria vita e capire che direzione assegnarle. Insieme alla moglie Valentina, da decenni impiegata come bibliotecaria, Nikolaj decide di abbandonare la città per trasferirsi nel piccolo paese di Muranovo. Con loro parte anche il figlio maggiore Artëm, inerte e imperturbabile fin quasi all’atarassia. Suo fratello Denis è invece in carcere per avere picchiato un altro ragazzo con tanta violenza da averlo ridotto a un vegetale.
In quel frammento di Russia in cui vanno ad abitare, la vita sembra quasi non scorrere. L’esistenza umana segue inerme l’alternarsi delle stagioni che si susseguono con implacabile lentezza. Gli Eltyšev si concentrano su nuovi progetti provando a non farsi sommergere dall’apatia che li circonda. Ma è come se ogni loro tentativo fallisse ancor prima di essere messo in atto. Anche quella nuova vita che sta per venire alla luce, il figlio atteso dalla moglie di Artëm, non diventerà simbolo di speranza ma solo causa di nuove frustrazioni e violenze.
Non resta che rifugiarsi nell’alcol, lasciandosi conquistare dalla sua capacità di allontanare i problemi, offuscandoli. È questa l’infelicità? Sì. Ma l’infelicità degli Eltyšev non è che una goccia nell’oceano, in quello spicchio di Russia in cui ci si alza la mattina senza sapere perché. In cui le persone muoiono all’improvviso per i motivi più futili. E in cui anche il tempo atmosferico sembra prendersi gioco degli uomini, divertendosi ad infliggergli inesauribili ed estenuanti forme di oppressione. E allora forse è vero che le cose “possono sempre andare peggio”. Senza riscatto. Senza luce. Senza futuro.
Approfondimento
Quella descritta da Roman Sencin è la provincia russa che non vorremmo vedere. Così come vorremmo non conoscere quel senso d’impotenza e inutilità e quella miseria tanto invasiva da prendersi tutto. L’autore però non fa sconti. Dalla prima all’ultima pagina nessuna scorciatoia. Parole dure e schiette. Sentimenti impoveriti da un’aridità che ha saputo lasciare, dietro di sé, solo terra bruciata e sterile. Un senso d’inerzia che si mangia tutto, consumando anche l’ultimo respiro.
Ma è lo spegnersi del futuro a fare più male: la mancanza di una prospettiva o di un pur ipotetico miglioramento. Ed è quel senso di sconfitta a ferirci. Ma davvero non c’è niente cui aggrapparsi? Forse sì. Forse è necessario leggere tra le righe, ripartendo dal titolo del romanzo, per sperare ancora in qualcosa. Forse la nuova generazione sarà in grado di fare ciò che la vecchia ha saputo solo immaginare. Forse sarà capace di ripartire, dando uno scossone a quello strato d’indolenza da cui è stata avvolta. Forse allora non tutto è ancora perduto. Forse.
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