
Autore: Stefano Liberti
Pubblicato da Minimum Fax - Settembre 2016
Pagine: 327 - Genere: Saggi
Formato disponibile: Brossura

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Nel 2050 ci saranno 9 miliardi di persone sul pianeta che potranno rinunciare a tutto, ma non a nutrirsi: quale investi-mento migliore se non quello su filiere alimentari? Ineccepibile ragionamento, per carità, ma a discapito di chi e di che cosa? Qual è il prezzo di questo "investimento"?

Quest’inchiesta cerca di ricostruire il processo che ha portato il cibo a diventare una merce, scambiata sui mercati internazionali da aziende che ne controllano la produzione, la trasformazione e la commercializzazione…
È proprio così: I signori del cibo è un’inchiesta, una dura e spietata inchiesta. Stefano Liberti, con un lavoro certosino di ricerca e analisi, scandaglia quattro grandi must della nostra alimentazione: la carne di maiale (la più consumata), la soia (il legume con la maggiore crescita), il tonno in scatola (il secondo prodotto di mare più commercializzato) e il pomodoro concentrato (il frutto più diffuso al mondo). E così scopriamo che questi quattro alimenti hanno in comune più di quanto immaginiamo: il luogo in cui vengono consumati è molto distante da quello in cui vengono prodotti, pochi soggetti ne detengono la concentrazione, la grande finanza è un soggetto attivo.
Il mattatoio moderno è una fabbrica perfetta e sincronizzata di maiali appesi e storditi e uomini in tute con movimenti meccanizzati come fossero un esercito di robot (Cina). Il moderno campo agricolo è squadrato, geometrico, interminabile dove un habitat biologicamente ricco, vario ma poco produttivo lascia spazio a una redditizia monocoltura destinata al commercio mondiale (Brasile). Gli oceani oggi sono regno di grandi pescherecci che saccheggiano i mari di tonni e di tante, troppe, prese accessorie. L’oro, oggi, è rosso e si chiama pomodoro (tomato per gli addetti ai lavori) ed è cinese; sì, il pomodoro oggi è cinese!
I signori del cibo è un testo spiazzante. L’elaborato è ricco di fatti e particolari frutto di viaggi, interviste, osservazioni puntuali e precise. Stefano Liberti in questo è bravissimo: è bravissimo a metterci con le spalle al muro, a farci vedere ciò che non vorremmo ma che dobbiamo vedere e conoscere per capire, per agire. L’obiettivo dello scritto, infatti è triplice: da un lato fotografa una tendenza, dall’altro da conto di un fenomeno, dall’altro ancora lancia un monito chiaro e inequivocabile. L’invito è fermare la catena delle aziende-locusta (gruppi interessati a produrre su larga scala al minor costo possibile) il cui unico obiettivo è il profitto a qualunque costo.
Approfondimento
Strategicamente I signori del cibo si apre con un messaggio preciso e con, visivamente, le immagini forti delle schiere di maiali tutti uguali tra loro storditi e pronti (si fa per dire) a subire tutte le fasi della loro trasformazione. Questo aiuta, fin dal principio, ad arrivare subito al nocciolo del problema, quasi come se tutto questo fosse sempre accaduto e il lettore vi fosse precipitato dentro solo ora. E il problema non è l’allevamento intensivo dei maiali nei CAFO nutriti con un mix prestabilito di proteine cereali ormoni e antibiotici; il problema non è che il Mato Grosso (“foresta spessa” in portoghese) non esiste più perché la sua biodiversità è stata desmatada, disboscata, ridotta a campo da coltivare; il problema non è neanche che il tonno, diversamente dai maiali e dalla soia, è un animale selvatico che nessuno finora è riuscito ad addomesticare, è un migratore che vive in alto mare e si riproduce solo in un certo ambiente e non necessariamente tutto l’anno quindi non può diventare una Commodity, non si può applicare un modello estrattivo; e il problema non è neppure che siamo stati proprio noi italiani ad insegnare ai cinesi a produrre e lavorare il pomodoro portando noi stessi in Cina tecnologie e macchinari. Il problema è che tutto ciò è diventato talmente tanto “normale” da essere quasi impossibile fare marcia indietro.
Si direbbe: basta azzerare tutto. Ma come si fa? Come si fa a dire a un popolo di mangiare solo quello che produce se produce poco o se quello che vorrebbe mangiare non lo produce da talmente tanti anni da aver dimenticato anche come si fa? Come si fa a far capire ai piccoli attori locali che le agiatezze di oggi saranno pane amaro per i loro figli? Come si fa a fermare l’inarrestabile processo della standardizzazione planetaria dei consumi?
Forse la risposta può venire da Yvan Sagnet, studente camerunense diventato “bracciante per caso” e “sindacalista per necessità” che, parlando dei soprusi che il mondo d’invisibili che sono i raccoglitori stagionali di pomodoro nel Sud Italia è costretto a subire, dice: Non avevo mai visto una cosa del genere nemmeno in Africa. E pensare che uno dei borghi nato da immigrati si chiama Libertà, così come coloni italiani fondarono anni addietro la cittadina di Sorriso in Brasile. Forse dovremmo solo ricordarci che, per tutti, la Vita è Libertà e mai sopraffazione e che se il Sogno di una Vita migliore fa rima con Sorriso dovremmo lottare per questo, con tutte le nostre forze.
Adele Marra
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