Claudio Lagomarsini è l’autore del romanzo Ai sopravvissuti spareremo ancora, Fazi editore. Ambientato in un paesino toscano, i personaggi vivono il tempo tra ricordi, racconti, ubriacature. E soprattutto litigi. Una chiacchierata con lui consentirà di conoscerlo meglio, di saperne di più e di avvicinare l’autore a noi tutti, lettori appassionati.
Grazie per aver accettato l’intervista, Claudio.
Grazie a te, Lina.
Chi è Claudio Lagomarsini? Parlaci di te come persona. Dove vivi, che cosa fai, che cosa ami, le tue passioni.
Comincerei con il dire che sono una persona piuttosto timida e riservata, da cui l’imbarazzo quando qualcuno si interessa a me e mi fa uscire dal guscio. Dunque, vivo a Firenze dal 2012 e lavoro a Siena come ricercatore universitario in Filologia romanza, la disciplina che ho studiato e che adesso ho anche la fortuna di insegnare. Data anche la mia attività di ricercatore e insegnante, direi che la mia passione principale è la letteratura, che occupa felicemente le mie giornate da filologo e, ultimamente, anche da autore. Se non leggo e non scrivo, è facile che stia correndo o camminando. Niente maratone o traversate estreme: semplici corsette per sciogliermi, respirare e pensare un po’.
Ai sopravvissuti spareremo ancora è il tuo romanzo d’esordio. Avevi scritto altro, prima? Saggi, racconti, brevi interventi?
Sì, avevo scritto alcuni racconti che sono stati pubblicati su riviste cartacee e su siti internet. Ogni tanto mi capita di scrivere articoli o saggi su questioni di attualità o di cultura. Per esempio, alcuni anni fa ho buttato giù qualche riflessione su Wikipedia e, più recentemente, ho messo in fila qualche pensiero sulla questione delle fake news, osservate dal punto di vista di un filologo. Se poi mi viene in mente qualcosa di sensato sulle cose che leggo, può capitare che scriva anche di quelle.
Come è nato questo romanzo? Chi o che cosa ti ha offerto lo spunto? Fatti di cronaca? Oppure hai incontrato nella tua vita qualcuno dei personaggi ed hai deciso di dargli vita letteraria?
Il romanzo è nato dall’ambiente che ho conosciuto e dall’atmosfera che ho respirato nella mia provincia di origine, quella sul confine tra Toscana e Liguria. Se l’ambiente può dirsi realistico, le situazioni narrate nel romanzo sono invece di pura invenzione. Anche se può sembrare strano, non ho preso spunto da un episodio reale né da fatti di cronaca, ma da una targa metallica che si trovava sul muro di una casa, nel vicinato in cui abitavo (tutto sarà più chiaro leggendo il romanzo e, alla fine, tornando al suo titolo).
Era una targa strana, molto minacciosa e scritta in inglese, che invitava a tenersi alla larga dalla casa se non si voleva rimediare una fucilata… Ovviamente era una minaccia esagerata, specialmente tra le quattro casupole pacifiche intorno alla mia, ma nel romanzo ho provato a prendere quella minaccia alla lettera, come se la mia provincia potesse trasformarsi nel Far West ed essere abitata da personaggi davvero capaci di passare dalle parole ai fatti.
Chi è lo scrittore? Uno che crea personaggi e li dirige, oppure uno che incontra per caso un personaggio e lo segue?
Un misto delle due cose, credo. Se vogliamo usare un’immagine musicale, è come un compositore che fa il direttore d’orchestra delle proprie partiture. Lo scrittore inventa dal nulla personaggi e situazioni (come il compositore inventa dal nulla una melodia), ma può anche partire da fatti e persone reali (suoni o rumori ascoltati, nel caso del compositore) e rielaborarli o contaminarli con elementi di fantasia. E quando dispone di tutti questi personaggi, creati oppure osservati, si trova a doverne orchestrare le azioni, le parole e i pensieri.
Wayne e Il Tordo rappresentano ed incarnano gli istinti più bassi dell’uomo. Chi o che cosa ti ha ispirato nel descrivere con “pennellate” perfette questi due personaggi?
Mi ha ispirato il bisogno di rappresentare e mettere in discussione un certo tipo di uomo che, non saprei altrove, ma nella mia provincia d’origine mi sembrava piuttosto diffuso, almeno quando ero adolescente. Per usare un’espressione impiegata quasi sempre a sproposito, mi riferisco a un certo tipo di “maschio alfa”, prevaricatore, retrogrado e maschilista, che però è anche capace di improvvisi guizzi di simpatia. Nel romanzo, Wayne e il Tordo rappresentano due uomini di questo tipo (gretti ma anche simpatici e affascinanti) e appartengono l’uno alla generazione dei miei genitori, l’altro alla generazione dei miei nonni.
I loro grassi comportamenti non sono legati solo alla vita nelle periferie o all’ignoranza. Sono paragonabili alla violenza sulle donne, ai violenti atti di bullismo, alla violenza sugli anziani, sui disabili. E sui bambini. Sbaglio?
È come dici. Il mio non è un romanzo “a tesi” né un romanzo sociologico: non credo affatto che la provincia generi di per sé uomini violenti o sessisti. Lo prova il fatto che la violenza e il sessismo possono allignare ovunque, nel centro come nella periferia, e addirittura nel mondo della cultura (penso allo scandalo delle molestie che ha investito l’edizione 2018 del Nobel per la Letteratura). Nel romanzo ho raccontato uno spicchio di mondo che conosco e che, appunto, è attraversato anche da quel tipo di problema.
Il ruolo delle donne, nel tuo romanzo, non c’è. Sono serve ubbidienti, pronte a scodinzolare ad uomini che la vecchiaia ha reso ancora peggiori.
Su questo vorrei provare a smussare un po’ il tuo punto di vista. È vero che nel romanzo Wayne e il Tordo occupano gran parte della scena con i loro comportamenti maschilisti, mentre i personaggi femminili (la madre di Marcello, la moglie del Tordo, la figlia di Wayne) restano nell’ombra. Ma, ad esempio, la nonna di Marcello ha un temperamento tutt’altro che debole: nonostante l’età e la generazione a cui appartiene, ha vissuto con disinvoltura molte avventure amorose e sessuali, si sbarazza degli uomini quando se ne stanca e, nonostante il Tordo sia un “maschio alfa”, lei lo manipola senza grossi problemi.
Nella generazione degli adolescenti, poi, c’è Sara, la compagna di classe amata da Marcello: è lei a “usare” lui per i proprio scopi, non il contrario. Naturalmente la nonna e Sara non sono donne consapevoli di sé, ma si limitano a sfruttare a proprio vantaggio le contraddizioni del mondo maschilista in cui si sono trovate a vivere. Quindi sì, anche loro hanno un ruolo problematico.
Al giorno d’oggi, gli adolescenti vengono allevati in famiglia, ma dis/educati dai social. Nella grande maggioranza dei casi, purtroppo! Sei d’accordo?
Ti invito a vederla da un’altra prospettiva: ci saranno anche adolescenti che vengono diseducati dalle famiglie d’origine e rieducati altrove, non pensi? Nel caso specifico dei social, come per altre piattaforme e veicoli di informazione, trovo ingiusto generalizzare. Dipende dall’uso che se ne fa. E questo, attenzione, vale anche per la letteratura e per i libri: se uno ad esempio legge testi negazionisti senza aver ricevuto solidi strumenti per contestualizzarli e metterli in discussione, corre il rischio di diventare un negazionista.
Sui social girano tante scemenze, è vero, ma conosco anche persone che organizzano gruppi di lettura su Instagram e usano quella piattaforma per parlare di Kafka o Tolstoj. Ecco, non mi pare che sulla TV pubblica che un adolescente può guardare sul divano insieme alla propria famiglia si parli molto di Kafka e Tolstoj…
Anche la tecnologia sfrenata isola le persone, le rende impedite e refrattarie alla comunicazione, accentua l’insofferenza verso gli altri. Sbaglio?
Naturalmente quando parliamo di esagerazioni è come dici tu. Passare dodici ore al giorno tra computer e telefono non credo faccia tanto bene al nostro cervello. Ma come dicevo prima, questo vale anche per altri ambiti, no? Anche passare dodici ore al giorno a leggere libri (e specialmente a leggere libri stupidi) non è proprio il massimo per sviluppare doti sociali e comunicative. Te lo dice uno che passa qualche ora al giorno tra manoscritti medievali, saggi di filologia e romanzi…
Quali autori ti hanno incantato? Di quali ti sei innamorato e non ne faresti a meno?
La lista varia a seconda del momento: quest’estate ad esempio ho letto Claudia Durastanti e Guadalupe Nettel, due autrici che mi hanno proprio “incantato”. Se dovessi fare una scelta direi comunque Philip Roth, Jonathan Franzen, Michel Houellebecq e, tra gli italiani, Walter Siti, Domenico Starnone, Alessandro Piperno, Sandro Veronesi. Lascio da parte tutta la letteratura medievale, che per me è incantevole e irrinunciabile non meno di quella moderna.
Hai un sogno nel cassetto?
Mh… forse mi piacerebbe vedere come funzionano sullo schermo le cose che scrivo o, in altri termini, scrivere qualcosa che sia adatto allo schermo, cioè una sceneggiatura. Per essere chiari, non penso tanto al mio romanzo quanto a opere di altri. Ci sono testi medievali (ad esempio il Lancillotto) che sarebbero perfetti per diventare una serie. Chissà…
Hai già pensato al prossimo libro?
Prima facevi notare che nel mio primo romanzo sono protagonisti gli uomini. Ecco, prossimamente mi piacerebbe dare più spazio a figure femminili. Naturalmente non è facile – ed è anche discutibile – scriverne dal punto di vista di un maschio. Sto pensando a un’amicizia femminile problematica, raccontata dalla prospettiva di un figlio. Ma è ancora tutto molto indefinito.