“Le novelle del defunto Ivan Petrovic Belkin” edito da Kogoi Edizioni è una raccolta di cinque novelle scritte da Puškin nel 1830 e pubblicate nel 1831, riproposte nella versione tradotta da Leone Ginzburg, a settanta anni dalla morte. Un’operazione editoriale notevole che lega tre grandi intellettuali che hanno segnato la storia della letteratura: Puškin, Ginzburg e Gobetti. Ad arricchire il volume infatti la ripubblicazione di un saggio su Puškin di Piero Gobetti e un saggio sull’esperienza della traduzione di Ginzburg. Una chiara, attenta e interessante prefazione di Dario Pontuale, ci consente di conoscere ancora meglio la figura di Ginzburg facendoci capire l’importanza e l’attualità della scrittura di Puškin, autore anche dell’opera narrativa “La figlia del capitano”, del romanzo in versi Evgenij Onegin e del dramma Boris Godunov. Lo incontriamo per una breve intervista.
Considerato innovatore della lingua e fondatore della letteratura moderna, Puškin si formò sui classici. La sua scrittura è intrisa della viva realtà dell’epoca e nulla è prodotto di imitazione. Secondo te qual è il punto di forza dell’autore russo?
Puskin riesce a sommare, anzi riesce ad equilibrare, due tipi di scrittura apparentemente distanti: l’attenzione per la storia, per il fiume di fatti che gli scorrono attorno e un elevato gusto letterario, frutto di una cura meticolosa per la descrizione, non solamente esteriore. In una letteratura come quella Russa, inoltre, la scrittura di Puskin è connotata da un nitore che lo denota rispetto ad altri suoi connazionali. Questi, probabilmente, i principali punti di forza.
Nel volume ‘Le novelle del defunto Ivan Petrovič Belkin’ edito da Kogoi si fondono narrativa e saggistica, oltre alla pratica del tradurre e teoria, studi e riflessioni sulla letteratura. Un’operazione molto particolare che unisce Puškin a Leone Ginzburg e a Piero Gobetti. Che significato ha proporre oggi quest’opera?
Si è scelto di voler presentare un’edizione “eretta” su tre grandi pietre: i racconti firmati da Puskin, opera scomparsa, almeno integralmente, da alcuni decenni; la storica e magistrale traduzione di Leone Ginzburg, infine un saggio scritto, con la solita lungimiranza critica da Piero Gobetti. La pubblicazione mira a mostrare come i libri, non siano soltanto stampe di parole, bensì collaborazioni tra esperienze, professionalità, talenti; tutte caratteristiche che possono rendere grande un volume, tutte peculiarità che rivelano un valore redazionale, nonché editoriale, che a tutt’oggi, viene spesso sottovalutato. Tre grandi autori, tre differenti professioni, a formare un tributo al complesso lavoro dell’editoria.
Le cinque novelle scritte da Aleksandr Sergeevič Puškin nel 1830 e pubblicate nel 1831, sono riproposte nella versione tradotta da Leone Ginzburg a settanta anni dalla morte. Che cosa lega e distingue queste novelle?
Il motivo del legame tra le novelle, in realtà, è un astuto espediente letterario ingegnato dall’autore Infatti Puskin finge di aver ritrovato un vecchio manoscritto che racconta la vita di Ivan Petrovič Belkin, del quale decide di curare la pubblicazione. La narrazione, pagina dopo pagina, presenta la figura policroma di Belkin, mostrando aspetti biografici sorprendenti e, al contempo, estremamente misteriosi.

Dario Pontuale
Piero Gobetti nel suo saggio ha definito Puškin artista versatile, secondo te che cosa lo ha portato a trarre questa conclusione nei confronti dello scrittore?
Credo che il termine “versatilità” utilizzato da Gobetti possa avere una duplice interpretazione: la grande capacità con la quale Puskin riusciva a cambiare registro, situazioni, ambientazioni; ma anche il merito di raggiungere con la sua prosa un pubblico ampio, di differente estrazione. L’autore russo presenta storie umani “universali”, non solamente ristretti ritratti sociali.
Il mondo rurale russo e i suoi personaggi. ‘Eroi’ di estrazione sociale non elevata e per lo più modesta appartenenti ad un’epoca lontana, ma pur sempre attuali nelle loro gesta, è così?
Puskin appartiene al sentimento russo, questo non va mai dimenticato, perciò la sua concezione della scrittura è strettamente legata alla scelta dei personaggi, ma soprattutto ai loro tormenti, alle complessità introspettive nutrite. Sono eroi, seppur vestiti da contadini, e ciò che li rende attuali; non sono gli abiti, bensì le complicazioni subite dall’esterno: le leggi, le ingiustizie, le vessazioni con le quali si trovano a fare i conti giorno dopo giorno.