Autore: Fabio Zanello
Pubblicato da Ortica Editrice - Gennaio 2020
Pagine: 124 - Genere: Poesia
Formato disponibile: Brossura
Collana: Le erbacce
ISBN: 9788897011989
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Canto di ultrà, celerini, rapinatori, anonimi agenti di commercio e post-punk, questi versi varcano le dure esperienze del '77, gli anni '80 dell'eroina, gli anni '90 e 2000 della techno e dell'hip hop, dalle zone centrali alla periferia di Tor Bella Monaca. Una Roma trasformata in intrattenimento mistico, ode unica di materia e trascendenza, nel flusso di coscienza che corre come un rap tra quartieri alti e vite ai margini, in cui vita e morte, salvezza o perdita senza redenzione finiscono per coincidere.
“‘Na botta infame” pone innanzitutto un complesso problema di collocazione, perché si situa a cavallo tra suggestioni e generi molto diversi: quali sono state le tue premesse e le tue ambizioni stilistiche?
Dunque, il genere dei poemetti contenuti in questo libro è una sorta di prosa-poesia sul modello di alcuni dei testi di Pessoa, in particolare Ode Marittima. E’ il tentativo di un uso del linguaggio quotidiano, del parlare comune, della stampa e della televisione trasferito in forma lirica. Da un punto di vista metrico, personalmente mi sono orientato verso un recupero del metro latino classico quantitativo, cioè dell’esametro, che consente un verso lungo, spesso raddoppiandolo. Non ho comunque adottato una forma metrica inviolabile, diciamo che questa è la suggestione di fondo. E’ una scelta che parte da un ragionamento preciso una volta constatato che il metro tradizionale della lirica moderna italiana, per intenderci quella del sonetto, finisce per ridurre il linguaggio ad una specie di filastrocca che oggi percepisco come inattuale. Non si può ingabbiare il flusso di coscienza in sole undici sillabe, il rischio è quello di creare una forma avulsa dalla realtà.
SIGARETTA IN PIAZZA. (lettura p. 29)
Emerge, in questa sezione ma anche in tutto il libro, un “Io” che ossessiona, la paura/certezza che la realtà sia irrimediabilmente filtrata dalla nostra soggettiva percezione. E allora la volontà di uscire, di andare fuori, di prendere le distanze da questo Io per raggiungere l'”eureka”. Ma trovi sempre più domande che risposte…
E’ vero, c’è un ‘io’ che ossessiona, ma questa mi sembra oggi la nostra condizione di fondo, e anche il nostro limite. E’ una condizione culturale, anzi, una sorta di diktat: la psicologia lavora sul rafforzamento del nostro ‘io’, la fiction propone continuamente personaggi realizzati che affermano la vittoria del loro ‘io’. Ma in realtà le forme più elevate di ogni cultura, penso soprattutto a quelle orientali, ci insegnano che proprio l’’io’ è il nostro limite. L’’eureka’ cui ti riferisci, che è il leit-motiv di Sigaretta in piazza, è proprio il tentativo di uscire da questo limite. La voce di questo pometto permane staticamente nella piazza antistante casa, fumando una sigaretta prima di cena. Tutto quello che accade intorno in realtà accade dentro, dimenticarci di questo è, dal mio punto di vista, l’illusione che ci condiziona ogni giorno. Ogni viaggio verso la propria vera natura è un viaggio a ritroso, all’interno di se stessi. Le domande si moltiplicano perché, finché cerchiamo una spiegazione all’esterno, ogni risposta, in quanto separata da noi, diventa un’altra domanda: cambiare di continuo l’immagine sullo schermo non ci consentirà mai di comprendere la natura dello schermo. Per ogni scuola spirituale d’Oriente e Occidente, la verità si manifesta proprio quando il linguaggio, e quindi il nostro senso dell’’io’, scompare. Sigaretta in piazza ruota intorno a questo concetto.
ODE ROMANA (p. 79 o p. 88)
Una città che è una preghiera notturna – riconciliazione con le bruttezze (che poi così brutte non sono), vagabondaggio mistico ancora una volta alla ricerca di se stessi. Quanto hai trovato di te in Roma e quanto ti ha lasciato Roma addosso?
Sì, Ode Romana è un viaggio mistico notturno, dentro un’automobile, di notte. Qualcosa che penso tutti abbiano provato nella loro vita, il vagabondare nella notte senza sapere bene perché né dove. Per me questi sono sempre stati i momenti migliori perché in fondo, come dici tu, il viaggio interiore è quello che più mi interessa. In questo caso specifico lo scenario dell’esperienza è Roma, che però alla fine per me è un
posto come tanti altri. Guarda, un po’ ho viaggiato, mi sono spostato, ma alla fine mi sono accorto che tanto, dovunque stavo, ero sempre io. Quindi il problema non era nel luogo ma nella mia testa. Roma piace ai turisti, a me sinceramente non ha lasciato molto addosso. Le rovine sono rovine. Poi, è anche un centro spirituale. Se però ti immergi nel viaggio nella coscienza, tutto questo non ha molta importanza. E tanto da qualche parte bisogna pur stare.
POEMETTO SPURIO
Vorrei spendere due parole anche per un altro dei quattro poemetti nel libro, Poemetto Spurio. E’ forse quello, diciamo, più esteriore. La violenza degli ultrà, gli scontri di piazza, le periferie ‘pesanti’ come Tor Bella Monaca, i ragazzini sugli scooter in giro per qualche rapina da cento euro, i caseggiati popolari dove intere famiglie spacciano, quartieri e persone senza identità, comprese quelle ‘per bene’ che consumano la loro vita dietro una cassa di supermercato per uno stipendio neppure da mille euro. E’ la vita di ogni giorno che compare ogni tanto in qualche trafiletto di cronaca ma dietro cui c’è tutta un’esistenza. In questo poemetto ho cercato di dare voce a questi volti. Sulla presenza della droga, almeno in questo testo, non so se è così rilevante come dici tu. Io ho raccontato quello che vedo, non credo di dire niente che in realtà tutti non sanno, o non hanno provato sulla loro pelle. Non si può chiedere a un poeta di essere ipocrita. Guarda Pasolini che fine ha fatto per questa ragione.
PENSIERI SUICIDI
Quanto all’ultimo, Pensieri Suicidi, ognuno può leggerlo come vuole. Non è il diario di una esperienza personale in senso stretto, ma risponde a una domanda che credo è nel cuore di tutti: ci svegliamo ogni mattina con svariate cose da fare, pensieri, obblighi, situazioni da risolvere, preoccupazioni, e momenti di felicità in genere pochi. Ma è davvero necessario? E cosa sarebbe se in fondo tante volte non ci fossimo, noi e tutto il resto?