“C’è nella vita di ciascuno di noi un giorno, uno solo, che ha cambiato per sempre il nostro sentire”.
Proprio su questa forte presa di coscienza, Nikita Placco dà vita alla vicenda di Rodolfo, un giovane notaio scapolo che stravolge la propria vita abbracciando la scrittura. Il protagonista de Il giorno di cui non si parla trova nel quotidiano l’ispirazione, ritrovandosi così a trascrivere su carta le proprie emozioni. Quando Rodolfo verrà a conoscenza di un non detto sepolto nel passato, si troverà ad affrontare un deciso cambiamento come uomo e come autore.
In compagnia di Nikita Placco cercheremo, con qualche domanda, di sbirciare attraverso le fessure de Il giorno di cui non si parla: un romanzo nuovo, magnetico e incredibilmente vero.
Nikita, tu sei un uomo di legge, un avvocato e, al contempo, un autore. Come convivono queste tue due anime? Come si inserisce la scrittura nella routine di un avvocato?
A dire il vero, non mi sento “un uomo di legge” né sono un avvocato: faccio l’avvocato, che è molto diverso e come autore lotto con la routine del professionista perché non fagociti tutto lo spazio e rispetti il tempo dell’ispirazione e della creatività.
Tu stesso hai precisato che il tuo Il giorno di cui non si parla non è un romanzo autobiografico, bensì un racconto di fantasia che tuttavia è scaturito da alcune evoluzioni, probabilmente necessarie, vissute anche sul piano professionale. Chi ha letto il romanzo sa che Rodolfo, dopo una serie di circostanze riscopre la sua passione per la scrittura. Ci sono punti in comune tra vissuto dell’autore e il suo romanzo?
Parlerei, piuttosto, di un percorso esistenziale teso a sempre maggiore autenticità.
Certamente ci sono molti punti in comune tra il mio vissuto e il romanzo, ma che non riguardano solo il personaggio di Rodolfo o la sua vicenda professionale, piuttosto tutto il sostrato emotivo della narrazione. Non racconto fatti veri, ma tratto di cose che conosco bene.
Eppoi, come è scritto a pag. 265: “Scriviamo sempre di quello che accadrà, mai di quanto già successo. Anche se non lo sappiamo. La narrazione è esercizio di profezia, più che di autobiografia. Scrivere è, invero, atto profetico”.
Anche tu, Nikita, hai vissuto il tuo giorno di cui non si parla? I non detti dovrebbero rimanere sepolti nel passato o pensi sia giusto sapere sempre la verità nonostante il suo peso?
Tutti abbiamo il nostro giorno di cui non si parla, dunque anche io. E solo affrontare quel “non detto” alla base della nostra esistenza ci fa divenire persone libere. Non a caso faccio precedere il mio romanzo dalla frase “La verità è l’unica forma di restituzione possibile”: una dichiarazione d’intenti e d’indipendenza al tempo stesso.
Passando a tematiche più leggere, a quale personaggio della vicenda sei particolarmente affezionato?
I personaggi di un romanzo sono un po’ come figli: possono essere simpatici o seriosi, vigorosi o fragili, onesti o guasconi, ma l’affetto è lo stesso per tutti.
Ovvio che con Rodolfo c’è stata maggiore proiezione, ma ho donato qualcosa di me a tutti loro.
E una menzione speciale la riservo a Luca, il papà del protagonista.
Nikita, il tuo stile narrativo è scorrevole e coinvolgente. Sai affrontare tematiche complesse con una penna leggera e alternarle, in modo naturale, con episodi scanzonati. Chi sono i tuoi autori di riferimento? Quali letture pensi ti abbiano, se così si può dire, formato e indirizzato verso quello che è diventato il tuo modo di scrivere?
Mi sono formato, un po’ come tutti, sui grandi classici dell’Ottocento, specialmente i russi. L’imprinting è rimasto nel profondo e sopra si sono stratificate tante altre letture e autori mano a mano più recenti, di diversa estrazione e sia italiani che stranieri (per citarne alcuni Buzzati, Fallaci, De Luca, Piperno, Kundera, Barnes, McGrath, Sepulveda), che mi hanno portato con una ricerca di affinamento via via più necessaria a trovare la mia voce, la mia cifra stilistica.
Quanto pensi che l’ispirazione sia legata al quotidiano di un autore? Come per Rodolfo, anche per te il vissuto impatta sui periodi di blocco o di produttività di fronte a un foglio bianco?
Per me l’ispirazione è un fenomeno rabdomantico, più che legato al vissuto quotidiano. Certamente durante le mie giornate capto e immagazzino molte suggestioni, che tuttavia poi rielaboro in maniera completamente rifratta. Non mi riferisco agli accadimenti, quanto più che altro agli stati emotivi.
E, almeno finora, non ho sperimentato blocchi della creatività, piuttosto frequenti sprazzi di vera e propria “incontinenza” immaginativa, che sento di dover catturare prima che la magia svanisca.
Un’ultima domanda che vuole essere uno sguardo verso il futuro. Hai già qualche idea da mettere nero su bianco?
Appena concluso Il giorno di cui non si parla, mentre lo stavo revisionando, una nuova storia si è affacciata di suo alla mia mente. Dapprima il protagonista, che dopo poco si è presentato con nome e cognome e poi mi ha svelato la sua attività. Così, ho iniziato subito a scrivere questo secondo romanzo e prodotto già diversi capitoli.