In un XVII secolo molto simile a quello vero, ma in cui esiste la magia, tra Pisa e la Lunigiana, Debrena Mori, Primo Siniscalco dell’Ufficio Indagini Speciali dei Reali Moschettieri durante il regno di Ugolino V della Gherardesca, svolge con perizia e freddezza la propria funzione.
Un tempo, però, come rivela in una lunga intervista concessa alla giornalista Nobil Dama Flora dell’Agnello, era stata solo una giovane donna del popolo, cieca ma capace di vedere le anime dei morti assassinati. Questo suo dono le permette di essere un prezioso aiuto per Manfredi Gambacorti, colonnello dei Reali Moschettieri, e Franco Gentilini, mago giudiziario, funzionari investigativi che indagano su una serie d’indecifrabili suicidi e un omicidio altrettanto misterioso.
Estratto
Un fastidioso vento di libeccio sferzava il Lungarno Conte Ugolino.
Un africo freddo spruzzava le pietre del selciato di minuscole ma fitte gocce di pioggia. Forse sulla cima della Taneta stava cadendo anche qualche fiocco di neve tardiva.
Né luna né stelle a riflettersi nelle prime pozzanghere che iniziavano ad arabescare i lastroni di pietra serena dei marciapiedi.
Il sibilo dell’aria, insinuandosi nell’intrico di stradine adiacenti, portava con sé l’aroma del mare in tempesta, con il suo inconfondibile profumo di libertà intrecciato nell’intimo con il puzzo di alghe marcite […]
Sfidando lo sferzare dell’aria che ne ostacolava il cammino, una figura solitaria camminava sul lato interno della strada, rasentando il più possibile le facciate dei palazzi, in un’alternanza incoerente di passi veloci e subitanei rallentamenti: una sorta di balletto il cui tempo era scandito dagli sbuffi del libeccio.
Avvolta sino ai piedi in un lussuoso mantello, il suo contorno appariva cangiante, seguendo il palpito delle pesanti falde di lana che ora si gonfiavano come le vele di una caracca al sospiro del vento, ora si afflosciavano in un groviglio informe.
Unico punto fermo, il cappuccio dal bordo di pelliccia di volpe che, calato ben sotto gli occhi, creava un pozzo di buio profondo nel quale era impossibile scrutare.
Vana la fatica di stabilire chi fosse o che aspetto avesse; quel nottambulo, il capo chino in avanti, la schiena curva, rigida e tesa, l’incedere nervoso condito da un frequente voltare la testa per controllarsi le spalle, tradiva l’ansia di una persona che si sta avventurando per territori sconosciuti, non tanto perché mai percorsi quanto, piuttosto, per l’orario insolito.
In piena luce, di certo, avrebbe camminato con un portamento fiero, lento e altezzoso, compiaciuto di essere rimirato; ora invece, uomo o donna che fosse, stava ben attento a non esporsi più del necessario alla flebile luce che i lampioni riuscivano ancora a fornire, riguadagnando il prima possibile […]
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(il primo non indispensabile ma molto gradito)