Partiamo dal fondo. Se non avete letto il libro, o pensate di leggerlo dopo aver visto il film, andate al cinema tranquilli. Ender´s game È un bel film, ottimo ritmo, ben scritto, begli effetti speciali. La recensione finisce qua. Epperò, epperò… devo confessare. Il romanzo di Orson Scott Card non solo è riconosciuto come un capolavoro (vincitore dei premi Hugo e Nebula, in pratica il Nobel della fantascienza) ma è anche indubbiamente uno dei miei romanzi di formazione.
Preoccupazione d’obbligo nel prepararsi a vederlo quindi, ma anche d’obbligo accettare di trovarsi davanti a qualcosa di diverso dal romanzo, inevitabilmente spogliato per essere ridotto a immagini. Avanti quindi con la contrazione temporale, l’appiattimento dei personaggi, la troncatura di tante delle sottostorie parallele. Avanti con le modifiche anche alla trama principale, per ottenere una sceneggiatura vincente. Un film non è un libro, bisogna ripetersi e anzi in questo caso si può essere molto più tranquilli, dato che la sceneggiatura è stata scritta, riscritta, rimaneggiate e sempre seguita in vent’anni dall’autore stesso, alla ricerca della mediazione perfetta. Premessa d’obbligo. Si va in sala.
E qui, la sorpresa.
Eh già, perché proprio la presenza dello scrittore, così “invasiva”, si rivela il vero punto debole. Il film non mette le ali dal romanzo, anzi, tanto da risultare nella prima parte quasi didascalico. Due ore di girato non sono trecento pagine, purtroppo, e fin troppo presto si comincia ad avvertire il corri corri verso il finale. Le vicende del romanzo vengono citate bene o male tutte, ma il tempo è tiranno e i pezzi cominciano a perdersi in modo irreversibile. Via i risvolti psicologici, e in fondo ci sta, via i tanti sviluppi delle relazioni tra i personaggi, via anche un bel po’ di personaggi. E questo comincia a starci un po’ meno, mentre perversamente subentra l’idea di assistere ad un costosissimo booktrailer, più che ad un film. Via anche tante sequenze di azione, pur di stare sulla trama. E qui, ci si rende conto del problema. Se “Il gioco di Ender” poteva avere un punto di forza nella sua riduzione cinematografica, questo stava nelle scene di azione. Le coreografie dei ragazzini nella sala da battaglia della scuola di guerra, mentre combattono a 0 g perdendo di vista il motivo per cui si allenano e trovano un senso nel battersi in sé e primeggiare. Le simulazioni degli scontri spaziali. Soprattutto, le grandi battaglie tra decine di astronavi. Ecco, questo manca, questo è accennato appena, riprese veloci, a distanza, a spezzoni, a volte solo accennate, a volte addirittura solo citate.
Si scivola verso il finale con una sensazione di incompiutezza, mentre tra l’altro realizzi che la scelta di far crescere i personaggi, dai bambini ad adolescenti, nulla aggiunge e anzi toglie quell’effetto straniante e di lieve disagio di fronte alla violenza (anche fisica, tra bambini, probabilmente per questo la mentalità americana ha spinto verso questo aumento d’età).
Tornando all’inizio di questa recensione, un buon film, sicuramente da vedere, soprattutto se non si è letto il libro. Per chi invece l’ha fatto, purtroppo, la delusione un po’ è in agguato. I puristi troveranno tanti, troppi tagli, soprattutto alle dinamiche psicologiche del protagonista e dei personaggi. I più aperti sentiranno la mancanza di una maggiore, decisamente maggiore deriva fracassona, di raggi e battaglie, di festa per gli occhi. Per quanto riguarda me infine, che mi pongo a metà tra questi due schieramenti che peraltro mi sono appena inventato beh, mi è venuta una gran voglia di andare a rileggermi il libro. E questo non si può dire sia un risultato da poco.
Giorgio Arcari