Nei giorni in cui si celebra la “Giornata della Memoria”, ho riscoperto una vicenda, tratta da una storia vera, rimasta nel dimenticatoio fino al 1969, anno in cui venne raccontata in un libro , “Jakob der Lügner”, (Jakob il bugiardo, edito in Italia da Feltrinelli). Nel 1999, il regista di origini ungheresi Peter Kassovitz, decide di realizzare la versione cinematografica più nota del romanzo, ambientato in un ghetto ebraico durante la seconda guerra mondiale, nella Polonia occupata dai tedeschi. L’autore del romanzo è Jurek Becker (1937-1997), figlio di polacchi ebrei, che visse la sua infanzia nel ghetto polacco di Lodz e in seguito nei campi di concentramento di Ravensbrück e Sachsenhausen, dove perse la madre.
Già nel 1975, il regista Frank Beyer, decise di trarne un film omonimo (di cui lo stesso Beker scrisse la sceneggiatura) che vinse l’Orso d’argento al Festival di Berlino e ottenne la nomination all’Oscar come miglior film straniero. Protagonista della storia è Jakob Heim, proprietario di un caffè chiuso da tempo, che un giorno si ritrova ad ascoltare, per caso, un bollettino radio proibito che annuncia alcuni successi dell’esercito sovietico sui nazisti. L’indomani comunica queste notizie a due amici ormai in preda allo sconforto. A quel punto le voci si diffondono anche agli altri e ben presto inizia a circolare la notizia che Jakob sia in possesso di una radio, crimine grave, punibile anche con la morte. Tuttavia le speranze degli abitanti del ghetto prevalgono sulla paura, e ogni mattina, puntualmente, tutti gli chiedono di essere aggiornati sulle ultime novità. Jakob, incapace di deluderli, si lascia sfuggire finti bollettini di guerra, inventa accadimenti e situazioni incoraggianti. Con il passare del tempo le sue storie divengono sempre più frequenti e fantasiose, tanto da convincere sempre più persone a ritrovare la voglia di resistere e lottare per sopravvivere. La popolarità dell’uomo, cresce molto in fretta, fin quando, anche ai nazisti, purtroppo, arriva la voce della presenza di un possessore di una radio interno al ghetto. A quel punto, i soldati tedeschi minacciano di uccidere dieci persone, se costui non si costituirà.
Ad interpretare Jakob, nel film più recente, il sempre eccezionale Robin Williams, che dimostra per l’ennesima volta al pubblico, la sua versatilità, caparbietà e bravura come attore, sia di commedie, sia di film drammatici e più impegnati. Memorabili, tra le sue interpretazioni, il ruolo di Adrian Cronauer in “Good Morning, Vietnam” (1987) e del Professor John Keating nel film “L’attimo fuggente” (1989). “Jakob, il bugiardo” è lontano anni luce da altri film del filone “Shoah e Olocausto”, dove queste tematiche vengono espressamente raccontate in maniera drammatica e realistica. Completamente diverso da “La vita è bella” di Benigni, altro gran bel film, a cui erroneamente, viene spesso paragonato. Jakob, incarna i panni di un eroe anticonvenzionale, che basa la sua forza sul potere della bugia. Le bugie, stavolta rappresentano un antidoto essenziale e indispensabile, per non soccombere alla rassegnazione e alla disperazione. In questa vicenda, leggerezza, tenerezza, e un’amara ironia si alternano alla tristezza, allo sconforto e al dramma di un domani senza certezze. Il film è un inno alla speranza, alla vita, alla voglia di ricominciare, di sperare in un futuro migliore. Una speranza e un eroe di cui avremmo bisogno anche ai giorni nostri. Per cambiare le cose. Per poter smuovere le coscienze della nostra società attuale, un agglomerato di persone che non si stupisce più di nulla, che preferisce ignorare piuttosto che pensare. Troppo abituata alla violenza, all’odio, al male. Il male, di cui l’Olocausto ha rappresentato una delle espressioni peggiori e più cruente. Un’ atrocità talmente feroce e devastante, che è impossibile dimenticare. E’ necessario ricordare. Conservarne il ricordo e la memoria, affinché certi orrori non si ripetano mai più.
Luca Vagnoni