
Autore: Amos Oz
Pubblicato da Feltrinelli - Novembre 2015
Pagine: 343 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura
Collana: I narratori

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Questa è la prima traduzione italiana di un libro che Amos Oz scrisse all’età di ventisette anni, quindi nel 1966. “Altrove, forse” è il ritratto della vita in un kibbutz negli anni cinquanta e sessanta dove la paura più grande è quella del confine: non solo quello geografico tra Israele e Siria, ma anche e soprattutto quello in-teriore che ogni uomo porta dentro di se’ e che teme di non poter superare impunemente.

Siamo in terra d’Israele, a pochi kilometri dal confine con la Siria: qui sorge il kibbutz di Mezudat Ram, fondato qualche decennio prima da ebrei della diaspora. Costituito da casette bianche con il tetto rosso, è circondato da un paesaggio contradditorio fatto di vegetazione e campi coltivati da una parte, di montagne brulle e aride dall’altra. I coloni vivono nel rispetto della comunità: anche se ogni famiglia ha una sua abitazione, i pasti vengono consumati nel refettorio comune, l’organizzazione del lavoro è collettiva e le decisioni vengono prese da un consiglio del villaggio.
L’ideologia kibbutzista richiede di vivere tendendo alla luce, scacciando l’odio e la maledizione, attraverso il costante miglioramento di sé. Il pettegolezzo ha un ruolo fondamentale in questo, perché riflette in qualche modo il giudizio altrui: in una comunità dove tutti prima o poi sanno quello che fai è impossibile non rendere conto non solo agli altri, ma anche a se stessi delle proprie azioni e dei propri comportamenti.
Non gli interessa scoprire il talento. Anzi. Vogliono tirare su persone comuni. Persone comuni che lavorino tutto il giorno nei campi e la notte si corichino e facciano figli e quando serve prendano un’arma e corrano a morire eroicamente in guerra.
Una delle personalità più in vista del villaggio è Ruben Harish, poeta, insegnante nella scuola locale e guida turistica per i visitatori del kibbutz. È un uomo che crede fermamente nell’ideologia kibbutzista e si dedica con impegno alla sua affermazione, soprattutto dopo essere stato abbandonato dalla moglie Eva, scappata in Germania con un cugino, Isaac Hamburger, giunto in visita al villaggio. Ruben deve occuparsi dei due figli: Gai, ancora bambino, e Noga, sedicenne dal carattere pericolosamente affine alla madre fuggitiva. Per colmare la solitudine, Ruben intreccia una relazione con Bronka Berger, moglie di Ezra Berger e madre di due figli. In realtà l’aspetto sessuale non è così importante fra loro, sono innanzi tutto amici, condividono opinioni e punti di vista sulla vita.
Mentre la vita nel kibbutz procede tra adulteri e atti di vandalismo giovanile, di fatto l’evento principale è l’arrivo dei fratelli di Ezra Berger, in particolare Zachariah. Si tratta di un personaggio ambiguo, che appare estraneo al villaggio e alla sua ideologia di vita e del quale non sono ben chiare le intenzioni: la sua presenza è contemporanea al verificarsi di alcuni eventi cruciali per la comunità.
Altrove, forse è sicuramente un romanzo impegnativo, che non va affrontato a cuor leggero ma con consapevolezza: infatti anche il lettore sperimenta spesso la sensazione di trovarsi al confine, smarrito di fronte alla complessità delle vicende e delle relazioni umane. Anche se ha il merito di rendere testimonianza di una realtà che per noi è difficile da immaginare e ancor più da comprendere, nel complesso è una lettura piuttosto pesante e noiosa, durante la quale si ha la sensazione di essere circondati da una cortina di nebbia e torpore senza avvertire dentro di se’ alcuna emozione.
Approfondimento
Altrove, forse è un romanzo che affronta il tema del confine: il confine geografico del kibbutz, al di là del quale possiamo trovare i nemici ma anche la libertà, simboleggiata da Gerusalemme ma ancora di più dalla Germania. E il confine interiore dell’uomo, che ognuno anela a oltrepassare ma è spaventato da quello che può trovare dall’altra parte; forse da questo punto di vista Noga è il personaggio che meglio simboleggia la difficoltà di vivere sull’orlo, dei luoghi e dei sentimenti. In tutto questo i nemici siriani stanno in agguato nell’ombra, sono come noi spettatori della vita nel villaggio, quasi a significare che il vero pericolo non è altrove, al di là del confine, ma all’interno perché deriva dall’animo umano.
Per la cronaca, il kibbutz in Israele è una forma associativa volontaria, basata sull’uguaglianza e sul concetto di proprietà comune. Questo comporta per ogni singolo elemento appartenente al kibbutz l’obbligatorietà di lavorare per tutti gli altri elementi dello stesso e ricevendo in cambio i frutti del lavoro altrui, evitando così alla collettività di cadere nelle mani di quello che viene considerato il consumismo di stampo occidentale.
Negli anni Cinquanta-Sessanta, in cui è ambientato il romanzo, i kibbutz erano molto sviluppati. Hanno poi conosciuto un periodo di declino, dovuto sia a motivi ideologici, quali la necessità di impiegare lavoro salariato esterno, sia alla concorrenza delle imprese a carattere privato, sia infine ad una cattiva gestione in periodi di crisi economica. Nel 2010 c’erano in Israele 270 kibbutz.